Il dissenso di un gruppo di esperti sulle prove psico-attitudinali varate dal Cdm: “non si possono ‘testare’ funzioni complesse”.
Roma – La psicoanalisi accorre in aiuto dei magistrati, e lo fa a proposito dei tanto contrastati test psico-attitudinali adottati dal governo per le toghe. Per gli scienziati in questa scelta “mancano ancoraggi scientifici”. La magistratura, anche se c’è tempo fino al 2026 per cambiare le carte in tavola, si sentirà sollevata da tanta grazia. Un assist fornito su un piatto d’argento. Un nutrito gruppo di psicoanalisti membri della Società Psicoanalitica Italiana – tra loro il presidente Sarantis Thanopulos, e oltre 140 tra
psichiatri e psicologi esprimono il loro dissenso ai test.
L’occasione è una lettera pubblicata su ‘Questione Giustizia’ , la storica rivista di Magistratura Democratica diretta da Nello Rossi. “Sentiamo il dovere di intervenire – dicono – sulla decisione del Consiglio dei Ministri del Governo Meloni, di introdurre, nei concorsi di magistratura, la valutazione ‘della verifica dell’idoneità psicoattitudinale di coloro che abbiano superato le prove scritte e orali del concorso in magistratura’, da realizzarsi mediante test o colloqui. Esprimiamo la più decisa disapprovazione e preoccupazione. La nostra critica è soprattutto ‘tecnica'”.
Il Disegno di legge, spiegano, “sembra infatti proporre una forma di valutazione” del futuro magistrato, “nella presupposizione di una capacità ‘scientifica’ e tecnica di discriminare, attraverso test e colloqui, la specifica ‘idoneità psicoattitudinale’ degli aspiranti magistrati, addirittura in relazione alle specifiche funzioni indicate nella domanda di ammissione”.
Il gruppo di esperti capitanati da Sarantis Thanopulos, insistono nella lettera: “Nessun tecnico, anche soltanto minimamente competente in materia, saprebbe in coscienza avallare una simile supposizione o presunzione; e questo non per un’attuale insufficienza dei nostri strumenti di indagine, ma in ragione di più cogenti criteri metodologici, che impediscono – scrivono ancora – la costruzione di griglie riduttive attendibili, atte a testare funzioni così complesse, che coinvolgono ideali, motivazioni, passioni, interessi, come se si trattasse di mere capacità oggettivamente standardizzabili. Ne conseguirebbe che gli ‘esperti’ esaminatori (da chi
scelti e secondo quali criteri?), non avendo alcun vero ancoraggio scientifico per validare i propri giudizi, si
troverebbero, nella migliore delle ipotesi, in balìa di suggestioni intuitive ed empatiche”.
“O, più facilmente – fanno notare gli scienziati -, sarebbero indotti a surrogare la mancanza di appropriati criteri ordinativi nella propria ‘disciplina’ di competenza con un ‘disciplinato’ affidamento, se non con una subordinazione, all’ordinamento politico del momento. L’operato di simili esperti – concludono così gli psicoanalisti – correrebbe così il rischio di adeguare le proprie risposte ‘diagnostiche’ all’aspettativa di quella domanda ‘politica’ che li ha cooptati come suoi funzionari. Il risultato di tutto ciò sarebbe, con tutta evidenza, negativo per la psichiatria, per la psicologia, e altrettanto inopportuno e sfavorevole per la magistratura, per
la giustizia e per la cultura del nostro Paese”.
Quello che è certo è che a fine marzo dopo il braccio di ferro governo-toghe, il Cdm ha dato il via libera ai test per l’accesso alla professione dei magistrati dal 2026, forse simili a quelli cosiddetti ‘Minnesota’, che valutano la personalità dei candidati. Il decreto legislativo approvato in Consiglio dei ministri ha avuto modifiche fino all’ultimo minuto, che però non hanno mitigato le proteste dell’Associazione nazionale magistrati. “Un candidato che supera una prova scritta difficilissima e sta per coronare il sogno di una vita, magari con ottimi voti, può essere bocciato per qualche domandina di un professore di psicologia? Ma se non è pazzo così ce lo facciamo diventare”, aveva tuonato il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia.