Il 74,2% degli italiani dichiara crisi di nervi derivate dalla propria attività produttiva. I dati dell’ultimo rapporto Censis restituiscono una società sempre più dilaniata da tensioni interne, fortemente individualista e disillusa in merito al futuro.
Qual è l’identità di questa generazione che si appresta ad ereditare le redini del potere? Quali sono gli insegnamenti tramandati dai precedenti detentori? I quesiti non sono di facile lettura e, per comodità, le risposte che vengono date spesso rischiano di essere approssimative o, quanto meno, poco approfondite.
Sempre più di continuo capita di sentir parlare di una crisi dei valori che, come un fulmine a ciel sereno, pare abbia colpito le generazioni che si sono susseguite dagli anni Ottanta sino ai primi anni Novanta per poi contagiare quelle più attuali. Non si può nascondere che effettivamente vi sia stato un cambiamento nella percezione delle vedute e delle possibilità offerte dal mondo e che questo abbia influenzato il modo di pensare dei giovani moderni. Se da una parte questo dato di fatto è endemico allo sviluppo tecnologico e scientifico, dall’altra risulta evidente anche il connubio tra sradicamento delle radici sociali e identitarie e crisi economica. Questa scomposizione e ricomposizione dei costumi sociali è ben diversa da quella che sconvolse gli ambienti benpensanti del ’68: essa rappresentò un momento di profondo rinnovamento per la classe borghese la quale, stufa di soddisfare l’ormai arcaico modo di pensare dei padri, cercò nel libero mercato un nuovo modo di esprimersi. La Rivoluzione identitaria attuale, invece, è conseguenza della regressione economica che, nel suo insieme, ha sconvolto la dimensione lavorativa e quella relazionale.
La crisi economica e le forti politiche di austerity hanno mutato radicalmente il concetto di lavoro nella mente dei giovani. Le varie tipologie di precariato, gli usi criminali degli stage e dei tirocini, i contratti a tempo determinato e le altre forme remunerative ideate per eludere la stabilità contrattuale, hanno colpito in profondità la “genetica” delle nuove generazioni, modificandone persino la concezione di famiglia e aumentando le tensioni sociali.
Il ceto medio italiano sta attraversando un’intensiva fase di proletarizzazione in cui i piccoli proprietari soccombono davanti alle grandi multinazionali o diventano essi stessi lavoratori dell’acquirente. La sempre più folta schiera di laureati offre manodopera specializzata a basso costo alle varie aziende, rifornendole continuamente di operai sociali insicuri, stressati ma fortemente concorrenziali. L’estetica dalla quale siamo investiti, fantasia di un immaginario altamente meritocratico in cui chiunque può godere della fluidità dell’innovazione tecnologica, in realtà nasconde un mondo estremamente contraddittorio. L’enorme domanda di lavoro nel settore terziario ha delineato le caratteristiche di un nuovo tipo di lavoratore, il quale deve risultare sempre attivo, altamente specializzato, predisposto al compromesso contrattuale e con uno spiccato spirito individualistico.
Queste peculiarità sono catalizzatrici di contrasti sociali, che si acuiscono al crescere delle disuguaglianze economiche, sgretolando il sentimento di collettività nella comunità. Esperienze quali lavoro telelavoro o co-working, mostrano i segni di una società che si basa principalmente su contratti di collaborazione occasionale o a progetto e che poco garantiscono una stabilità finanziaria. Il risultato di tali fattori produce nell’individuo un’identità debole, preoccupata per il futuro e perennemente insoddisfatta. Queste inquietudini vengono assorbite dalla società e la condizionano profondamente. Le difficoltà nel costruire un proprio nucleo familiare o la diminuzione della natalità sono solo alcuni dei sintomi di come la nuova percezione del lavoro abbia modificato il modus vivendi della giovane forza lavoro. Lo stesso aumento delle liti familiari legate all’impiego o a questioni economiche mostra quanto il contesto incida sui rapporti umani.
La mancanza di sicurezze occupazionali future ha prodotto sostanzialmente una società isterica, distratta, preda dell’invidia e delle falsità e basata, soprattutto, sulla spettacolarizzazione. L’idea di diventare tutti imprenditori di sé stessi, ovvero un grande esercito di partite IVA pronto a uno scontro fratricida, si è rivelata economicamente e socialmente un’autentica catastrofe. La diminuzione media dei redditi italiani, nonostante il formale aumento dei posti di lavoro degli ultimi anni, è il risultato di una generazione che è costretta ad accontentarsi di poco per sopravvivere. Giovani lavoratori che percepiscono la pensione come qualcosa di lontano e quasi utopistico, privata com’è di una propria identità di categoria e sempre più disillusa dalle tante promesse sindacali oltre che arida nei rapporti umani.
I dati del rapporto prodotto dal Censis sulla situazione sociale del Paese nel 2019 rispecchiano e testimoniano quanto prima esposto e che vede il problema sociale venutosi in tutta la sua gravità.
Oggi il 69% degli italiani è convinto che la mobilità sociale è bloccata; il 63,3% degli operai crede che in futuro resterà fermo nell’attuale condizione socio-economica, perché è difficile salire nella scala sociale; il 63,9% degli imprenditori e dei liberi professionisti teme invece la scivolata in basso. Inoltre, il 38,2% degli italiani è convinto che nel futuro i figli o i nipoti staranno peggio di loro, il 21,4% non sa bene che cosa accadrà e solo il 21% pensa che staranno meglio di loro. […] È una convinzione radicata nella “pancia” sociale del Paese che genera uno stress esistenziale, intimo, logorante, perché legato al rapporto di ciascuno con il proprio futuro, che amplifica la già elevata tensione indotta dai tanti deficit sperimentati quotidianamente e si manifesta con sintomi evidenti in una sorta di sindrome da stress post-traumatico: il 74,2% degli italiani dichiara di essersi sentito nel corso dell’anno molto stressato per la famiglia, il lavoro, le relazioni o anche senza un motivo preciso. […]. Così gli italiani vivono la sensazione del tradimento per gli sforzi fatti finora, che non solo non vengono riconosciuti, ma a cui ora si vorrebbero associare nuovi conti da saldare. Stress esistenziale, disillusione e tradimento originano un virus ben peggiore: la sfiducia, che condiziona l’agire individuale e si annida nella società. Il 75,5% degli italiani non si fida degli altri, convinti che non si è mai abbastanza prudenti nell’entrare in rapporto con le persone.