Mario Venditti, nel 2007 a capo delle indagini per l’omicidio di Chiara Poggi, si difende in attesa dell’incidente probatorio.
Pavia – “La prova scientifica? Era inservibile”. Difende così il suo operato l’ex procuratore di Pavia, Mario Venditti, nel 2007 a capo delle indagini per l’omicidio di Chiara Poggi, uccisa a Garlasco il 13 agosto di quell’anno. Un delitto per il quale il fidanzato della ragazza, Alberto Stasi, era stato condannato in via definitiva a 16 anni di carcere.
Il 17 giugno l’incidente probatorio: sotto esame reperti chiave
Venditti chiese e ottenne, per ben due volte, l’archiviazione per Andrea Sempio, amico di Marco, il fratello di Chiara. E ora al centro dell’inchiesta, riaperta dal nuovo procuratore di Pavia, Fabio Napoleone, con i carabinieri nel Nucleo investigativo di Milano. Un’indagine che troverà un momento clou nell’incidente probatorio, previsto il 17 giugno, sui numerosi reperti finora mai analizzati, oppure rivalutati con recenti tecniche scientifiche.
Tra questi spiccano la cosiddetta “Papillare 33”, un’impronta di palmo trovata sul muro accanto al corpo di Chiara, attribuita a Sempio, e tracce di DNA sotto le unghie della ragazza che, per la prima volta, sarebbero state identificate con tecnologie moderne. Secondo la difesa di Alberto Stasi, l’impronta potrebbe contenere anche materiale biologico della vittima: se confermato, si tratterebbe della “prova regina” contro l’indagato.
Venditti non ha dubbi: le due richieste di archiviazione sono state avanzate “considerata la attestata inservibilità e infruttuosità della prova scientifica” di allora e “vista la assoluta carenza di riscontri oggettivi alle enunciate e mai provate ‘anomalie’ delle precedenti indagini”. Il primo procedimento era per l’omicidio, il secondo lo sviluppo di una denuncia a Milano per molestie a una componente del collegio difensivo di Stasi.
Mario Venditti: “La nuova inchiesta della Procura è legittima”
In una nota, Venditti auspica che “la recente iniziativa della Procura di Pavia, del tutto legittima, dovrà in ogni caso tenere in conto del giudicato formatosi dieci anni fa” con la condanna definitiva per Stasi e ritiene “facilmente prevedibile che sarà a breve riproposta una nuova istanza di revisione del giudicato su nuove prove mai prima prodotte”.
Oltre all’Impronta 33 ci sono infatti anche altri nuovi indizi, tra i quali le “strane” chiamate al telefono fisso di casa Poggi, proprio nei giorni in cui Alberto sapeva che Marco era in montagna. E soprattutto, il famoso scontrino del parcheggio di Vigevano, conservato per un anno e finora ritenuto cardine dell’alibi di Sempio, ma che potrebbe in realtà essere stato prodotto dalla madre, che proprio quel giorno era nella cittadina per incontrare, forse, l’ex pompiere. Un alibi che vacilla, dunque.
Una ricostruzione alternativa: il corpo sollevato da due persone
Al centro delle indagini c’è anche un’altra impronta digitale, la numero 10, repertata sulla parte interna della porta di casa Poggi e che le perizie hanno mostrato non appartenere a Sempio. Potrebbe appartenere a qualcun altro, ad esempio all’altra persona che – secondo una delle ipotesi – in concorso con l’assassino avrebbe ucciso e trasportato il corpo di Chiara Poggi nella villetta di Garlasco. Una tesi vecchia, che vide la luce nel 2008 quando i consulenti della difesa di Stasi scrissero che il corpo di Chiara “dopo l’aggressione è stato spostato da almeno due persone”. In base alle tracce di sangue trovate sul pavimento, sugli stipiti e sulle pareti, non fu trascinato ma sollevato da due persone, una delle quali lo teneva per i piedi e l’altra per le ascelle.
Verso una possibile revisione del processo?
Certo è che se i nuovi accertamenti confermassero la presenza di DNA di Sempio sulla scena del crimine, si aprirebbe concretamente la strada per una revisione del processo che nel 2015 ha condannato Alberto Stasi, oggi in carcere. Una verità alternativa potrebbe emergere, riaprendo uno dei casi più noti e controversi della cronaca nera e giudiziaria italiana.