Impronta 10 Garlasco Sempio Poggi

Garlasco, il giallo dell’impronta 10: “Sporca di sangue e di ignoto”. Vacilla l’alibi di Sempio

Per stabilire a chi appartenga servirà forse l’esame del Dna. Intanto la Procura indaga su un sms della madre e sullo scontrino del parcheggio: quella mattina era lei a Vigevano?

Pavia – Delitto di Garlasco, ora sotto i riflettori ci sono finite le impronte. Una, la numero 10, che secondo gli inquirenti appartiene ad Andrea Sempio, amico di Chiara Poggi e ora indagato per l’omicidio della giovane. E una seconda, la misteriosa “Impronta 33”, che non appartiene a nessuna delle persone coinvolte nel caso, ma che risulta sporca di sangue. Non solo, nel muro della scala della villetta che porta alla taverna ci sono altre sei tracce “palmari” mai identificate e alle quali ancora oggi gli esperti nominati dalla procura di Pavia, nonostante le nuove analisi non sono riuscite ad associare una identità. Sull’argomento è entrata l’ultima puntata della trasmissione “Chi l’ha Visto?”. In studio, la conduttrice Federica Sciarelli ha ospitato la dattiloscopista Raffaella Sorropago e la genetista Marina Baldi, che hanno offerto analisi tecniche sulle tracce rinvenute nella villetta di via Pascoli dove, il 13 agosto 2007, venne brutalmente uccisa Chiara Poggi. Intanto, vacilla l’alibi di Andrea Sempio, basato sullo scontrino del parcheggio di Vigevano. L’ipotesi è che a generarlo sia stata la madre dell’indagato, che quella mattina si sarebbe trovata in città per incontrare il vigile del fuoco, come testimonierebbero alcuni sms.

L’Impronta 33: traccia “antica” o prova determinante?

L’attenzione degli inquirenti si è concentrata dapprima sulla cosiddetta Impronta 33, una impronta palmare rinvenuta lungo le scale che conducono al seminterrato. La Procura di Pavia ritiene la traccia compatibile con Sempio. Ma non si tratta di una prova definitiva: la compatibilità deriva da una consulenza tecnica e non da una perizia, dunque il valore probatorio resta parziale.

Come ha spiegato Sorropago – riprendendo quanto reso noto ieri dalla Procura di Pavia in un comunicato – , l’impronta palmare è stata rilevata grazie alla ninidrina, sostanza chimica che ne evidenzia i dettagli cutanei. Il colore rossastro, spesso confuso con sangue, è in realtà una conseguenza della reazione chimica. Il procuratore Fabio Napoleone ha confermato che non si tratta di una traccia ematica.

La difficoltà principale è legata alla non datazione della traccia: le impronte, se non rimosse, possono resistere per anni. Inoltre, nel 2007 i RIS avevano giudicato quella stessa impronta “non comparabile”. Oggi però, come appunto ha comunicato la Procura, 15 minuzie dattiloscopiche sembrano legarla a Sempio, e la sua posizione – in alto su una parete, come lasciata da chi si sporgesse dai gradini – ha attirato l’interesse degli investigatori.

Un’impronta misteriosa: la numero 10

Nel corso della puntata è emersa però anche un’altra traccia: l’impronta n. 10, trovata sulla parte interna della porta d’ingresso della villetta. Secondo Sorropago, potrebbe essere stata lasciata da una mano sporca di sangue. La traccia non appartiene né a Stasi, né a Sempio, né ai familiari. A nessuno, quindi, dei soggetti ad oggi conosciuti che ruotano a vario titolo intorno all’inchiesta. A chi appartiene? Gli inquirenti ritengono che potrebbe trattarsi della firma di un secondo uomo, presente sulla scena del delitto. Secondo Sorropago, scovarne il proprietario sarebbe pressoché impossibile: “Per trovare le minuzie mancanti, bisognerebbe prendere le impronte digitali di 1 miliardo e 700 milioni di persone”, ha detto in trasmissione. La speranza di scoprire di chi sia è legata alla possibilità di svolgere esami approfonditi e complessi, a cominciare da quello del Dna.

Sempio e l’alibi che vacilla: la madre e lo scontrino di Vigevano

Sotto esame però c’è anche l’alibi fornito da Andrea Sempio, basato sull’ormai famoso scontrino del parcheggio a Vigevano. E che sembra vacillare sempre di più. Secondo la sua versione, confermata dalla madre, la mattina del delitto il ragazzo si sarebbe recato in libreria, trovandola chiusa. Ma la Procura ora ipotizza che sia stato proprio la madre a generare lo scontrino, mentre si trovava a Vigevano per un incontro con un vigile del fuoco, con cui aveva scambi frequenti via SMS.

Il sospetto nasce anche da un episodio insolito: durante l’interrogatorio, la donna ha avuto un malore improvviso proprio quando si è menzionato il nome del pompiere, Antonio B.. Un secondo malore ha colpito lo stesso Sempio nel giorno in cui venne consegnato lo scontrino. Un episodio mai verbalizzato dai carabinieri.

I post inquietanti e i video intimi di Chiara: l’ossessione di Alberto

Il quadro che gli inquirenti stanno ricostruendo riguarda anche la personalità di Sempio. Tra gli elementi sotto la lente figurano anche i biglietti scritti che ha scritto, in uno dei cui affermava: “Ho fatto cose molto brutte”. Post, messaggi e appunti – sequestrati in casa sua – lasciano emergere un interesse ossessivo per il caso e per Stasi. In un post del 17 dicembre 2014 – giorno della condanna bis di Stasi –, Alberto scriveva: “L’essenziale è invisibile per gli occhi… non dimenticare il mio segreto”, citazione de Il Piccolo Principe, libro preferito di Stasi.

Ci sono poi anche i video intimi tra Chiara e Stasi, che il fratello Marco avrebbe scoperto un anno prima dell’omicidio. Di questi video Marco Poggi aveva parlato nell’interrogatorio del 18 ottobre 2007: ne era venuto a conoscenza per caso un anno prima usando il pc della sorella, senza averli mai visti, ma sosteneva di non aver condiviso la cosa con nessuno. Il materiale però circolava anche sul computer a cui avevano accesso Alessandro Biasibetti, amico di Marco e nel frattempo divenuto frate. E, a quanto pare, anche lo stesso Sempio.

Le accuse contro l’avvocato Tizzoni e le sorelle Cappa

Un’ulteriore ombra arriva dalle parole del “supertestimone” delle Iene, che accusa l’avvocato Gian Luigi Tizzoni, legale della famiglia Poggi, di aver “coperto” le gemelle Cappa. Tizzoni ha smentito con decisione: “Non ho mai lavorato nello studio del padre, non li sento da dieci anni. Sono solo falsità”. Ma la questione aggiunge un ulteriore tassello a un caso che, dopo 18 anni, appare tutt’altro che chiuso.

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