Full time a 850 euro al mese: davvero i giovani non hanno più voglia di lavorare?

Mentre si alimenta la retorica accusatoria verso le nuove generazioni, la realtà racconta di stipendi da fame, precariato e sfruttamento sistematico.

Il ritornello è sempre lo stesso e si ripete con cadenza quasi stagionale: “I giovani non hanno più voglia di lavorare”. Una frase che riecheggia nei bar, sui social media e persino nei dibattiti politici, brandita come una verità incontrovertibile da chi appartiene alle generazioni dei boomer e baby boomer, spesso supportata da imprenditori alla ricerca di manodopera a basso costo.

Ma dietro questa accusa generazionale si nasconde una realtà ben più complessa e scomoda: quella di un mercato del lavoro che ha trasformato l’occupazione giovanile in una corsa al ribasso, dove la precarietà è diventata la norma e gli stipendi di sussistenza sono spacciati per opportunità.

La protesta di Ultima Generazione

L’episodio che ha coinvolto un’attivista di Ultima Generazione è emblematico di questa distorsione. La giovane si è presentata in un supermercato non per cercare lavoro ma per denunciare pubblicamente un’offerta che definire indecente sarebbe un eufemismo: lavoro full time, sei giorni su sette, per 850 euro al mese. “Volevo venire a fare il colloquio solo per dirvi che vi dovete vergognare“, ha dichiarato alla direttrice del punto vendita, con una franchezza che ha il sapore della disperazione generazionale.

La risposta della responsabile del supermercato – “Stai dicendo una ca**ata” – è altrettanto rivelatrice. Rivela l’incapacità di chi offre queste condizioni di comprendere la sproporzione tra quanto richiesto e quanto offerto. Come può una persona vivere dignitosamente con 850 euro al mese nel 2025, quando anche la spesa alimentare di base rappresenta una voce di costo sempre più pesante nei bilanci familiari?

Numeri che parlano chiaro

La situazione lavorativa degli under 35 in Italia non è una questione di “voglia di lavorare” ma di sostenibilità economica e sociale. Il quadro che emerge dalle statistiche e dalle testimonianze dirette descrive un panorama fatto di precariato sistematico, con contratti a tempo determinato che si susseguono senza mai garantire stabilità, stipendi in nero che privano i lavoratori di diritti fondamentali e contributi previdenziali. Paghe sotto la soglia minima, con retribuzioni che non permettono l’indipendenza economica né la costruzione di un progetto di vita. Straordinari non retribuiti come normalizzazione dello sfruttamento.

Il paradosso delle aspettative

Il paradosso è evidente: si pretende da una generazione che accetti condizioni di lavoro che le generazioni precedenti non avrebbero mai tollerato e quando questa rifiuta, la si accusa di essere “schizzinosa” o “senza voglia di lavorare”. È una narrazione che scarica sui giovani la responsabilità di un sistema economico che ha progressivamente eroso i diritti dei lavoratori.

L’attivista di Ultima Generazione, con il suo gesto di protesta, ha messo il dito nella piaga di un meccanismo perverso: quello che trasforma la disperazione in opportunismo, dove chi offre lavoro sottopagato si sente in diritto di lamentarsi se non trova persone disposte a sottostare a condizioni indegne.

La campagna portata avanti dal collettivo per il boicottaggio dei supermercati della grande distribuzione e per il taglio dell’IVA sui beni essenziali si inserisce in questo contesto. Non è solo una rivendicazione economica ma una questione di dignità sociale. “Lo Stato continua a fare cassa su ciò che ci serve per vivere”, denunciano gli attivisti, evidenziando come il peso fiscale sui beni di prima necessità renda ancora più insostenibili stipendi già inadeguati.

Oltre la retorica: serve un cambio di paradigma

È tempo di abbandonare la retorica dei “giovani che non vogliono lavorare” e affrontare la vera questione: un mercato del lavoro che ha perso di vista il concetto di dignità lavorativa. Non si tratta di essere “schizzinosi” ma di pretendere condizioni che permettano di vivere, non solo di sopravvivere. Fino a quando saremo disposti a giustificare l’ingiustificabile, nascondendoci dietro facili j’accuse generazionali?

I giovani lavativi esistono e, come direbbe qualcuno, sono in mezzo a noi. C’è però una grande fetta della nuova generazione che ha voglia di lavorare. Ma vuole farlo con dignità, con prospettive di crescita e con la possibilità di costruire un futuro. È una richiesta così irragionevole da essere tacciata di “mancanza di voglia di lavorare”? La risposta a questa domanda determinerà non solo il futuro delle nuove generazioni, ma la stessa coesione sociale del nostro Paese.

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