La nuova gestione del Bel Paese ha davanti a sé una strada irta di ostacoli. Nell’immediatezza Meloni ed i suoi dovranno varare alcune riforme già indicate da Draghi. In pratica provvedimenti già pronti che andranno resi esecutivi. Per il resto occorre spingere sulla ripresa economica senza elargizione di bonus.
Roma – Meloni osservata speciale dall’Europa. Ma è soprattutto in Italia che i pregiudizi verso la leader di FdI si stanno facendo pesanti sia all’interno della coalizione che da parte delle opposizioni, quest’ultime uscite malconce dalle elezioni. Infatti il gioco perverso della delegittimazione ha iniziato ad infiltrarsi nei vari notiziari e tra i conduttori televisivi con tanta supponenza e piglio ideologico. Insomma, la battaglia è già iniziata, ben prima che Giorgia Meloni si sia insediata. Figuriamoci dopo.
La speranza è che il nuovo governo riesca a togliere tutte quelle incrostazioni che hanno portato la sinistra a non volersi schiodare dal potere, ritenuto un bene primario per il partito rispetto ad ogni altra istanza sociale. Partito democratico docet. Infatti, nonostante i tanti veti parolai, pregiudizi con tanto di patenti di moralità distribuite con malafede a chiunque, che cosa ha fatto il partito di Letta? Pur di mantenere un focus di interesse tra gli stessi dem, attraverso il collante del potere ad ogni costo, ha realizzato alleanze con chiunque, soprattutto con chi aveva demonizzato.
Ora “il prezzo è giusto”, ossia è l’equo compenso che il Pd ha pagato per il presunto spirito di superiorità che lo caratterizza e la propria voracità mascherata da interesse nazionale. Comunque per la destra che avanza non sono ammessi passi falsi e il primo giudizio sul governo riguarderà proprio il modo in cui la squadra capeggiata dalla Meloni lavorerà sul Pnrr. Quest’ultima è una questione complessa ed importante, soprattutto alla luce della crisi energetica e delle materie prime che stanno colpendo il sistema produttivo col rischio della recessione.
L’attenzione, pertanto, del nuovo esecutivo dovrà essere massima, al fine di evitare un ulteriore impoverimento sociale e proteste popolari non sempre gestibili. Da qui la necessità di non prescindere dalla boccata d’ossigeno dei fondi europei, che non dimentichiamo sono sempre prestiti e non doni col fiocco. I primi adempimenti sono stati portati avanti dietro la regia di Mario Draghi, ora che non c’è più il suo sigillo di garanzia, ovvero di ex presidente della Bce, l’operato del governo sarà sotto ancora più stretta analisi da parte di Bruxelles.
Per ottenere la terza tranche dei finanziamenti occorrerà arrivare al 31 dicembre avendo ottemperato a ben 51 scadenze di cui solo 7 già completate. Peraltro tra le riforme previste dall’accordo con l’Ue vi sono quelle su fisco e concorrenza, che il governo Draghi non è riuscito a varare soprattutto a causa delle divisioni nell’esecutivo. Poiché all’interno del centrodestra non sembra ci sia unanimità sui contenuti l’iter di queste riforme dovrà vedere un impegno maggiore da parte della Meloni.
L’avvio della “nuova gestione” non sarà quindi dei più tranquilli. Altri due provvedimenti sono in stadio avanzato ma da completare entro la fine dell’anno, cioè la transizione ecologica e la digitalizzazione. Su questi Meloni e i suoi probabilmente decideranno semplicemente di proseguire sulla strada indicata da Draghi, non essendoci obiezioni rilevanti da parte degli alleati.
Così come la legge di stabilità, l’ex finanziaria, è certamente il dossier più urgente che dovrà affrontare il nuovo governo, stretto tra le esigenze di tener fede ad alcune delle dispendiose promesse elettorali e le compatibilità di bilancio che debbono essere rispettate. Altro non fosse perché lo chiede l’Europa, per non andare in default e bruciare i risparmi di tutti, e perché il pericolo incombente del debito rappresenta un grave ostacolo allo sviluppo dell’economia e quindi del benessere nazionale in netta discesa. .