Fine vita, da Dj Fabo ai primi suicidi assistiti: la battaglia dell’Associazione Coscioni

L’ultimo caso di “Serena”, che in Lombardia ha potuto procedere con l’autosomministrazione del farmaco letale a casa, a gennaio scorso.

Milano – La sentenza della Corte Costituzionale 242 del 2019 sul caso di Dj Fabo, ha legalizzato l’accesso alla pratica del suicidio assistito qualora sussistano determinate condizioni di salute del paziente che ne fa richiesta. Ovvero, la presenza di una patologia irreversibile, l’utilizzo di trattamenti di sostegno vitale, la dichiarazione da parte del malato di patire sofferenze fisiche o psicologiche insopportabili e la possibilità, per il soggetto, di esprimere il libero consenso e la volontà di accedere alla procedura. Il caso di Dj Fabo aveva fatto molto discutere: Fabiano Antoniani aveva scelto di morire con il suicidio assistito in una clinica svizzera, il 27 febbraio del 2017. A darne notizia era stato Marco Cappato, che lo aveva accompagnato.

“Al mio rientro in Italia, andrò ad autodenunciarmi, dando conto dei miei atti e assumendomene tutte le responsabilità”, aveva detto Cappato perché allora, prima della pronuncia della Consulta, il reato che si configurava era quello di ‘aiuto al suicidio’. La Corte costituzionale, chiedendo un intervento del parlamento per colmare un “vuoto legislativo”, aveva rinviato a settembre 2019 il verdetto sull’aiuto al suicidio, che prende spunto dalla vicenda del dj. Il dj milanese aveva lanciato anche a Sergio Mattarella un appello affinché il presidente della Repubblica intervenisse sul fine vita. Aveva appena compiuto 40 anni, quando si raccontava così: “Sono sempre stato un ragazzo molto vivace. Un po’ ribelle, nella vita ho fatto di tutto. Ma la mia passione più grande è sempre stata la musica. Così divento dj Fabo”.

Dj Fabo

Poi la pronuncia della Consulta e l’inizio dei suicidi assistiti. Sullo sfondo, la battaglia portata avanti con forza dall’Associazione Luca Coscioni. Oggi l’ultimo caso della donna in Lombardia. Paralizzata e costretta ora dopo ora a una condizione di totale dipendenza e necessità di assistenza continuativa: il suo è il primo caso in Lombardia. “La mia breve vita è stata intensa e felice, l’ho amata all’infinito e il mio gesto di porre fine non ha significato che non l’amassi”, ha scritto nell’ultimo messaggio la donna. La storia della 50enne segna l’avvio del primo caso di suicidio assistito in Lombardia: Serena il nome di fantasia, affetta da sclerosi multipla progressiva da oltre 30 anni. La donna è morta nelle scorse settimane nella sua casa dopo l’auto-somministrazione di un farmaco letale fornito dal Servizio sanitario nazionale, insieme alla strumentazione necessaria. Il farmaco e la strumentazione sono stati forniti SSN dopo 9 mesi dalla richiesta. Si tratta del sesto caso in Italia. 

Dopo aver atteso 9 mesi dalla sua richiesta, la 50enne è stata la sesta persona in Italia, la quinta seguita dall’Associazione Luca Coscioni, ad aver completato la procedura prevista dalla Consulta con la sentenza 242/2019 sul caso ‘Cappato/Antoniani’, con l’assistenza diretta del Servizio sanitario nazionale che ha fornito il farmaco e ogni strumentazione necessaria. “Regione Lombardia ha fornito l’aiuto medico per la morte volontaria perché era suo dovere farlo. Si conferma così nei fatti ciò che avevamo sostenuto anche in occasione dell’irresponsabile decisione del Consiglio regionale di dichiararsi incompetente in materia”, hanno spiegato Filomena Gallo e Marco Cappato dell’Associazione Luca Coscioni.

Sul caso della 50enne lombarda, Gallo e Cappato sottolineano che “se fosse stata in vigore la nostra legge di iniziativa popolare ‘Liberi subito’, la donna avrebbe potuto seguire una procedura chiara e definita invece di dover affrontare, insieme al personale sanitario, una corsa a ostacoli durata 9 mesi. Chiediamo al presidente Fontana di tornare sulla materia, riesaminando il contenuto della nostra legge ed emanare un atto di Giunta, come preannunciato dal presidente Zaia in Veneto”. 

L’11 febbraio il Consiglio regionale della Toscana ha deciso di approvare, con emendamenti, la proposta di legge di iniziativa popolare sul fine vita “Liberi subito”, promossa dall’Associazione Luca Coscioni e supportata da oltre 10mila firme. La Toscana è diventata così la prima regione italiana a introdurre una regolamentazione sulla procedura attraverso la quale le persone che vogliono accedere al suicidio assistito possono far domanda all’Asl, e su tempi e modalità di risposta della commissione preposta a verificare la sussistenza dei requisiti fissati dalla Consulta affinché l’aiuto al suicidio non costituisca reato. 

“Speriamo che la votazione sulla proposta di legge di nostra iniziativa popolare ‘Liberi subito’ avvenga in un clima di riflessione sulla responsabilità che hanno gli amministratori pubblici”, aveva detto l’avvocata Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’associazione promotrice. Entro 15 giorni dall’entrata in vigore della legge, adesso, le Aziende Usl dovranno istituire una commissione multidisciplinare permanente per la verifica della sussistenza dei requisiti per l’accesso al suicidio assistito. La legge fissa poi i tempi e le modalità per l’accesso al fine vita: si prevede che la procedura per la verifica dei requisiti si concluda entro 20 giorni dal ricevimento dell’istanza.

In caso di esito positivo, la commissione permanente procede all’approvazione o alla definizione delle modalità di attuazione del suicidio medicalmente assistito entro 10 giorni. Ed entro 7 giorni l’azienda sanitaria locale assicura il supporto tecnico e farmacologico e l’assistenza sanitaria per la preparazione all’autosomministrazione del farmaco. La norma stabilisce poi che queste prestazioni siano gratuite e si stanziano 10mila euro all’anno per tre anni. 

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