Ex Ilva tra attese e speranze. Urso: “Nei prossimi giorni la scelta dell’acquirente”

La discussione sulla proroga della cassa integrazione per i lavoratori del comparto, al ministero del Lavoro, proseguirà il 28 febbraio.

Roma – Il caso ex Ilva è vicino a una svolta? “La prossima settimana potrebbe essere scelto l’acquirente”, afferma Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, a margine dell’inaugurazione della nuova Casa del Made in Italy a Trento. “Ora siamo alle prese – prosegue Urso – con quello che è l’aspetto più significativo di quella che è stata la crisi industriale del nostro Paese, con gli stabilimenti siderurgici dell’ex Ilva, di cui abbiamo preso possesso con l’amministrazione straordinaria meno di un anno fa. In questo anno siamo riusciti a investire sugli altoforni per renderli produttivi, in un accordo tra l’altro con il sindacato siamo riusciti a gestire la nuova procedura di gara e nelle prossime ore, verosimilmente già nella prossima settimana, sapremo a chi sarà assegnato quello che potrà diventare il più grande impianto siderurgico green d’Europa”.

Nel frattempo, venerdì 28 febbraio ci sarà un nuovo incontro al ministero del Lavoro per il proseguimento della discussione sulla Cigs per i lavoratori dell’ex Ilva. Lo si apprende da fonti sindacali. Il 28 febbraio è anche il giorno della scadenza dell’attuale cassa integrazione. Nei giorni scorsi si era riunito il tavolo sulla cassa integrazione straordinaria chiesta da Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria per 3.420 lavoratori. Ma i sindacati si erano detti inquieti: prima – avevano fatto notare – vogliono andare a Palazzo Chigi e capire a chi sarà venduta l’ex Ilva di Taranto. Le tute blu sanno che tempo per gli aggiustamenti delle offerte dei pretendenti delle acciaierie è scaduto. Dei tre in corsa – Jindal, Baku Steel e il fondo Bedrock – solo i primi due, indiani e azeri, hanno rilanciato. Ora la palla è tornata in mano ai Commissari straordinari e al governo.

“Per noi è importante capire cosa sta succedendo sul versante politico prima di procedere alla chiusura di un accordo di cassa integrazione e per questo chiediamo prima una convocazione a Palazzo Chigi: togliamo
dal tavolo tutti i dubbi che ci possono essere”, ha affermato Valerio D’Alò, segretario nazionale Fim. Anche perché “come si fa a fare una discussione sulla cassa integrazione quando si sta decidendo di vendere lo stabilimento senza rendere parte sindacato e lavoratori a questa discussione. Non possono esserci due tavoli che non si parlano, negli stabilimenti ci sono in insicurezza e preoccupazione”, ha incalzato il segretario nazionale Fiom Loris Scarpa, facendo presente che peraltro la stessa azienda ha confermato un sostanziale “ritardo sul piano di rilancio dovuto sia a questioni di finanziarie (cioè mancanza di risorse sufficienti) che all’incertezza legata all’esito della vendita”.

Sono tante le perplessità degli addetti ai lavori sulla vendita di Acciaierie d’Italia. La Federazione Dirigenti di Taranto, che già a novembre aveva sollevato criticità sulla privatizzazione attraverso una dettagliata memoria, oggi sottolinea che “particolare preoccupazione destano diversi aspetti della procedura di vendita. In primo luogo, – dichiarano Roberto Pensa e Michele Conte – il bassissimo livello delle offerte economiche ricevute rispetto alle aspettative. Inoltre, come sottolineano gli esperti, “colpisce l’assenza di player internazionali di rilevo nella siderurgia a ciclo integrale, mentre partecipano gruppi con limitata esperienza e non sempre titolati ad una gestione industriale”.

Anche la questione energetica resta un nodo cruciale irrisolto, così come le garanzie occupazionali appaiono insufficienti. “Non illudiamoci – proseguono – questa nostra siderurgia non sarà in grado di sviluppare profitti prima di tre anni e difficilmente un gruppo privato potrà farsi carico di questa situazione”. La Federazione Dirigenti suggerisce una partecipazione statale consistente, almeno per un quinquennio, per garantire un rilancio effettivo degli stabilimenti di Taranto, Cornigliano e Novi Ligure. “Le risorse qualificate necessarie sono già presenti nella fabbrica”, sottolineano, evidenziando come la strada della dismissione totale rischi di rivelarsi un nuovo fallimento dopo la già negativa esperienza con Arcelor Mittal.

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