Operai, sindacati e imprenditori uniti contro la chiusura. Domani audizione in Senato, la Procura segue con attenzione gli sviluppi.
Taranto – Al grido “Morselli e Mittal via da Taranto!”, in 6mila hanno sfilato attorno alla grande fabbrica diventata il simbolo di una lunga storia italiana. Una storia, come tante altre, in cui a pagare sono stati e sono ancora i più deboli. È stato un lunedì di protesta all’ex Ilva di Taranto, che ha visto insieme operai, sindacati e imprenditori, che sin dalle prime ore del mattino si sono radunati davanti alle portinerie dello stabilimento per una manifestazione unitaria, che non ha precedenti. Tutti uniti per mettere finalmente la parola fine a anni di soprusi, nefandezze e ingiustizie. Perché questa è la madre di tutte le vertenze.
Di acqua sotto i ponti ne è passata tanta: la vicenda giudiziaria e il processo ‘Ambiente svenduto’, con il sequestro conservativo della fabbrica nel 2012. Le maxi-perizie, una ambientale e l’altra epidemiologica, per analizzare le emissioni che generavano nella popolazione “eventi di malattie e morte”. L’allarme diossina. Poi i primi decreti salva Ilva, con l’intervento del governo nel 2013, e i fiduciari che i finanzieri hanno scoperto essere una sorta di “governo ombra” dello stabilimento. Direttamente alle dipendenze dei Riva, ad impartire ordini all’organigramma ufficiale dell’azienda seguendo la logica del “massimo profitto con il minimo sforzo”.
Nel 2017 “piovve” dall’Europa, sull’Ilva e sull’Italia, anche l’accusa di “crimine contro l’umanità”, sostenuta da cittadini e lavoratori innanzi alla Corte Europea dei diritti umani. A rivolgersi alla Corte di Strasburgo furono parte degli abitanti della città di Taranto, tra cui alcuni in rappresentanza di parenti deceduti e figli minori malati che, secondo lo studio epidemiologico Forastiere, tra il 2013 e il 2016 contrassero malattie neoplasiche, cardiovascolari e respiratorie in relazione di causa-effetto con le emissioni dell’acciaieria Ilva.
Molti operai, morti per cause accertate tra malattia e disperazione, non hanno visto la fine di un caso che ancora oggi continua a far parlare della città dei due mari. Oggi dopo che tutto è stato fatto e disfatto ci troviamo a questo punto. Secondo le organizzazioni sindacali c’è “il rischio molto concreto di chiusura dello stabilimento” per una “volontà ben precisa dell’amministratore delegato (Lucia Morselli, ndr), espressione di fatto di ArcelorMittal“.
Per questo chiedono, nell’iter di conversione dell’ultimo decreto che riguarda l’ex Ilva, di “trovare le opportune garanzie a tutela dei lavoratori e dei crediti delle imprese” e per la “salvaguardia ambientale, occupazionale e industriale“. È stato sempre questo il dramma del caso Ilva: salvaguardare le persone, l’ambiente, l’economia di un territorio. Ma ora il governo, sostengono le sigle metalmeccaniche, deve innanzitutto “cacciare la multinazionale” responsabile di “un disastro sociale ed economico”.
Da giorni Fim, Fiom, Uilm e Usb denunciano il progressivo spegnimento degli altoforni – attualmente è in marcia solo il numero 4 – tanto che i commissari hanno chiesto ad Acciaierie d’Italia notizie urgenti sullo stato degli impianti e annunciato di voler fare un’ispezione in fabbrica. AdI ha 5 giorni di tempo per garantire l’accesso ma la situazione sta precipitando tanto da essere seguita con grande attenzione dalla Procura di Taranto – la fabbrica è pur sempre sotto sequestro – e dunque il silenzio di Acciaierie d’Italia non sembra idoneo a reggere l’urto di una azione giudiziaria.
Il lungo corteo ha attraversato il perimetro esterno della fabbrica, comportando rallentamenti e temporanei blocchi nella circolazione stradale sulle arterie in entrata ed uscita del capoluogo. In testa al lungo serpentone c’erano gli operai di Adi, di Ilva e i delegati sindacali che hanno mostrato bandiere e striscioni, acceso fumogeni e scandito slogan. Uno su tutti: “Morselli e Mittal via da Taranto“. Una presa di posizione chiara ed inequivocabile contro la multinazionale franco-indiana che detiene il 62% delle quote, mentre lnvitalia è in minoranza con il 38%. Tra i soci non c’è accordo sulla ricapitalizzazione e l’acquisto degli asset e diventa sempre più probabile il ricorso all’amministrazione straordinaria.
Ma a manifestare c’erano anche gli imprenditori dell’indotto, sul piede di guerra per il mancato pagamento delle fatture scadute. Il timore più che fondato è perdere crediti per oltre 130 milioni di euro, così come accadde nel 2015 quando l’Ilva fu commissariata.
E il governo che piano vuole adottare? Sta valutando una serie di provvedimenti a tutela dell’indotto nel caso in cui si dovesse arrivare al commissariamento di Acciaierie d’Italia: la revisione delle norme per la tutela dei crediti delle imprese, l’accesso agevolato delle imprese dell’indotto al Fondo di garanzia Pmi con l’esonero dal pagamento delle commissioni “una tantum” e per il mancato perfezionamento delle operazioni garantite, l’istituzione di un Fondo di sostegno per le imprese. Ma secondo Aigi – associazione che rappresenta 100 imprese e 4mila lavoratori del siderurgico – le misure di prededucibilità preannunciate “non sono attuabili essendo AdI una società priva di asset”.
Entro il primo febbraio è attesa una risposta alla lettera che Invitalia ha indirizzato, il 17 gennaio, ad Acciaierie d’Italia holding e Acciaierie d’Italia, che a sua volta aveva presentato istanza alla Camera di Commercio di Milano per la composizione negoziata, chiedendo la verifica dei presupposti per avviare le procedure che portano all’amministrazione straordinaria. Se non dovesse arrivare, il governo potrà comunque agire. Nel frattempo si susseguono le interlocuzioni per trovare nuovi soci privati.
Ma prima c’è da chiudere la partita più complicata, quella con ArcelorMittal. Possibilmente senza contenziosi. Quella che si apre oggi è comunque una settimana cruciale per l’ex Ilva. Domani in Senato, davanti alla Commissione Industria, infatti, sono stati convocati i sindacati e le associazioni datoriali del territorio. L’audizione – a cui partecipano oltre alle sigle sindacali i commissari straordinari Ilva, il presidente della regione Puglia, Michele Emiliano e il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci – rientra nel percorso di conversione del decreto che dovrebbe portare all’amministrazione straordinaria della fabbrica.
Il destino dell’ex Ilva di Taranto e della sua gente sembra ormai inevitabilmente segnato.