Ex Ilva, annullata la sentenza del processo “Ambiente svenduto”: si riparte a Potenza

Tutto da rifare per la Corte d’appello di Lecce sui presunti disastri ambientali. Le associazioni ambientaliste: “Rischio prescrizione”.

Lecce – Sui presunti disastri ambientali dell’ex Ilva è tutto da rifare. Si riparte da zero, e da Potenza. La sezione distaccata di Taranto della Corte d’assise d’appello leccese ha infatti annullato la sentenza di primo grado del processo “Ambiente Svenduto” a carico di 37 imputati e tre società per quanto accaduto negli anni di gestione dei Riva. È stata dunque accolta la richiesta dei difensori di spostare il procedimento a Potenza in quanto i giudici tarantini, togati e popolari, che hanno emesso la sentenza di primo grado, sarebbero a loro volta da considerare ‘parti offese’ del presunto disastro ambientale. La Corte ha disposto la trasmissione degli atti alla procura di Potenza per gli adempimenti di competenza.

Con un colpo di spugna si riparte da zero: 26 le condanne in primo grado nei confronti di dirigenti della fabbrica, manager e politici, per circa 270 anni di carcere. La Corte d’Assise aveva stabilito sia la confisca degli impianti dell’area a caldo che la confisca per equivalente dell’illecito profitto nei confronti delle tre società Ilva spa, Riva fire e Riva forni elettrici, per una somma di 2,1 miliardi. La Corte d’assise d’appello presieduta dal giudice Antonio Del Coco (affiancato dal giudice Ugo Bassi e dalla giuria popolare) ha letto solo il dispositivo dell’ordinanza, mentre le motivazioni saranno depositate entro 15 giorni. Ma la rabbia delle parti civili, dei parenti delle vittime e delle associazioni ambientaliste è tanta.

Lo stabilimento ex Ilva a Taranto

“Grande delusione” viene espressa dal Codacons per “la decisione”. “In Italia – commenta l’associazione dei consumatori, che nel processo rappresenta alcune parti civili – sembra esserci licenza di uccidere in nome del profitto. Centinaia di parenti delle vittime dell’inquinamento di Taranto e malati di tumore saranno ora costretti ad iniziare un nuovo iter giudiziario a Potenza, a tutto vantaggio degli imputati, dell’acciaieria e
della famiglia Riva”. Il Codacons annuncia che presenterà “un esposto contro i giudici che hanno emesso la sentenza annullata dalla Corte, affinché siano accertate le relative responsabilità nella vicenda giudiziaria”.

Il trasferimento del processo Ilva a Potenza “rischia di diventare un pericolosissimo precedente” e “un’arma in mano agli inquinatori”, afferma da Torino l’avvocato Gian Luca Vitale, patrono di parte civile per Slai Cobas e Medicina Democratica. “Naturalmente leggeremo le motivazioni – spiega il legale – ma ora come ora siamo del parere che accogliendo le eccezioni dei difensori degli imputati la Corte di Taranto rischia non solo di mettere una pietra tombale sul più grande processo per disastro ambientale celebrato in Italia. Il rischio è che si crei un pericolosissimo precedente: più ampio e grave è l’inquinamento, più sarà possibile dire che tra le potenziali vittime ci sono dei giudici e, quindi, più facile sarà annullare il processo”. Secondo Vitale “una norma posta a tutela dell’indipendenza della magistratura, e quindi a difesa della giustizia, diviene norma di ostacolo alla giustizia e di tutela della logica del profitto a tutti i costi”. 

“Sono esterrefatto!”, tuona il portavoce nazionale di Europa Verde Angelo Bonelli. “L’inquinamento è stata un’invenzione? Morti e malattie non hanno responsabilità? Questa non è giustizia. Con questa decisione, su
Taranto si infligge l’ennesima ferita dopo il disastro sanitario”, afferma. “I dati – aggiunge – parlano chiaro. A Taranto, nel corso degli anni, è stato immesso in atmosfera il 93% della diossina prodotta in Italia, insieme al 67% del piombo, secondo quanto riportato dal registro Ines dell’ISPRA, successivamente diventato E-PRTR. Questa situazione ambientale drammatica spinse, il 4 marzo 2010, l’autorità sanitaria a vietare il pascolo entro un raggio di 20 km dal polo siderurgico. Siamo di fronte a uno dei disastri sanitari e ambientali più gravi della storia italiana ed europea, che ha causato troppe vittime, soprattutto tra i bambini”.

E ancora Bonelli rincara la dose: “L’indagine epidemiologica dell’Istituto Superiore di Sanità lo conferma in maniera inequivocabile. Oggi questa sentenza che annulla quanto stabilito in primo grado non rappresenta un atto di giustizia, ma una ferita inferta a chi ha già pagato un prezzo altissimo con la propria salute e con la propria vita”. La Corte europea dei diritti umani nel 2022 ha pronunciato 4 nuove condanne nei confronti dello Stato italiano a causa delle emissioni dell’Ilva responsabili di mettere a rischio la salute dei cittadini. Le condanne riguardano i ricorsi presentati tra il 2016 e il 2019 da alcuni dipendenti dell’impianto siderurgico oltre che da oltre 200 abitanti di Taranto e di alcuni comuni vicini. 

L’urlo di dolore dei tarantini

Nelle sentenze emesse dalla Cedu due anni fa si sottolinea che l’Italia è stata già condannata per lo stesso motivo nel gennaio 2019 e che da allora questo caso è all’esame davanti al comitato dei ministri del Consiglio d’Europa che deve verificare se il Paese ha messo in atto tutte le misure necessarie per salvaguardare la salute degli abitanti. Dall’inchiesta giudiziaria che a luglio 2012 portò al sequestro degli impianti siderurgico di Taranto per reati ambientali non nacque soltanto il processo “Ambiente Svenduto”, ma anche il commissariamento dell’Ilva da parte dello Stato (avvenuto nel giugno 2013) e l’uscita degli allora proprietari e gestori, i Riva. Commissariamento ancora in atto sia in Ilva che in Acciaierie d’Italia, l’azienda intervenuta in seguito con la gestione del gruppo (entrambe le società sono in amministrazione straordinaria).

L’urlo di dolore dei tarantini è stato al centro di molte proteste in questi anni. Nell’estate 2023 quell’urlo era impresso in un grande manifesto “Se ci volete morti, sparateci”. La frase campeggiava in viale Magna Grecia, a Taranto. Iniziativa promossa dai Genitori Tarantini e da altri movimenti per protestare contro i decreti cosiddetti salva-Ilva e richiamare l’attenzione sull’emergenza ambientale e sanitaria.  “In 10 anni – era scritto ancora sul manifesto – 15 decreti dei governi italiani contro Taranto”. In quei giorni proprio l’associazione aveva contestato l’emendamento proposto dai ministri Fitto e Urso, approvato in commissione Politiche dell’Ue al Senato, in sede di conversione del decreto Salva Infrazioni. 

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa