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Europee: in Italia l’astensionismo diventa il primo partito, la soglia sotto il 50%

I dati del Viminale fotografano il calo vistoso di votanti e un risultato negativo storico: gli elettori alle urne sono stati il 49,69%.

Roma – L’astensionismo è il primo partito italiano. Evocato da tutti gli schieramenti politici nel corso della campagna elettorale, lo spettro di un vistoso calo di votanti alle urne si è palesato fin dal primissimo dato delle 23 di sabato. Un trend confermato anche nella seconda giornata di voto. Alla chiusura dei seggi l’affluenza per le europee ha raggiunto il 49,66%. Una quota che testimonia come la percentuale di italiani che si sono recati ai seggi per il voto all’eurocamera abbia subito – ad eccezione del 2004, quando il dato definitivo fu del 71,7% e del 1999 con il 69,8% – un costante e progressivo vistoso calo. Basti guardare ai dati degli ultimi due appuntamenti elettorali per il rinnovo dei membri. Quello del 2014, quando alla chiusura dei seggi votò il 57,22% degli aventi diritto. E quello del 2019, quando si votò solo di domenica, e alle urne andarono il 54,5%.

Sono dunque sempre meno gli italiani che vanno a votare per il rinnovo del Parlamento Europeo, mentre sembra “reggere” ancora l’elettorato chiamato ad esprimere la preferenza per le amministrative, sia per l’elezione di sindaci – si è votato in quasi 3.700 comuni di cui 6 capoluoghi di regione – sia per l’elezione del presidente e del consiglio regionale, in questo caso del Piemonte, come già nel 2019. In attesa del dato definitivo, il raffronto per le europee deve essere necessariamente fatto con i dati relativi alle tornate in cui si votò su due giorni. Nel 2009, sempre alle 19, la percentuale si attestò al 52,9% – dunque 12 punti in più
rispetto ad oggi ma già allora sei punti in meno rispetto al dato delle 2004, quando l’affluenza fu registrata al 58,5%.

Nel 2019, quando si votò solo di domenica, il dato delle 19 era del 43,84% degli aventi diritto. In quella circostanza si andò alle urne anche per le regionali in Piemonte e e in 3.800 comuni e il dato definitivo dell’affluenza ad urne chiuse fu del 54,50%. Analizzando il dato nelle circoscrizioni, le regioni più virtuose sono l’Umbria e l’Emilia Romagna dove alle 19 ha votato oltre il 50% dei residenti, mentre il fanalino di coda è la Sardegna con il 29%. Complessivamente la circoscrizione con il maggior numero di persone che si sono recate alle urne è quella Nord Occidentale, che comprende Liguria, Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta, con il 47,6% mentre la maglia nera spetta alla circoscrizione Insulare (Sicilia e Sardegna) con appena il 29%.

Nelle grandi città, a Roma l’affluenza si ferma al 35,2% mentre a Milano raggiunge il 43%. Il voto per il nuovo parlamento di Strasburgo ha viaggiato in parallelo, per circa 17 milioni di italiani, con quello per le amministrative. L’affluenza in questo caso è stata più alta, segno che il voto per il territorio resta primario rispetto a quello europeo. Fa eccezione però il Piemonte, unica regione dove si rinnovano i vertici e dove per le Europee ha votato il 48,7%, circa un punto percentuale in più (47,5%) di chi ha votato per il governatore. Per quanto riguarda le comunali, che riguardano 3.698 amministrazioni, nelle 19.578 sezioni si è recato al voto, sempre stando al dato delle 19, il 53,7% dell’elettorato.

Nei sei capoluoghi di regione chiamati ad eleggere il nuovo sindaco le cifre sono in controtendenza rispetto al dato delle europee: a Firenze la percentuale è del 54,6%, a Bari del 47,8%, a Cagliari del 44,5%, a Perugia del 56%, a Campobasso del 54% e a Potenza del 55%. Non sono poi mancati casi particolari, come quello di Cerreto di Spoleto dove già alle 12 di domenica aveva già votato oltre il 51% degli aventi diritto.

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