Bruxelles è un nano politico costretto a prendere decisioni all’unanimità, consegnandosi al ricatto di qualsiasi paese membro.
Nemmeno il tempo di collocare nella casella delle cose fatte il via libera all’apertura dei negoziati per l’adesione dell’Ucraina alla Ue, che Bruxelles si è accorta di quanto la provvidenziale uscita al momento del voto del premier ungherese Viktor Orban – unico tra i 27 ad opporsi – non sia arrivata gratis.
A tambur battente, infatti, il leader Ue più vicino a Putin ha posto il veto all’approvazione del bilancio pluriennale dell’Unione e all’invio di 50 miliardi di aiuti europei a Kiev. Per il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, reduce da un infruttuoso viaggio a Washington dove non è riuscito a convincere il Congresso Usa ad approvare un pacchetto di fondi bloccato da settimane, il niet di Orban vanifica il successo dell’avvio dell’adesione alla Ue. Il processo per l’entrata dell’Ucraina nel club dei 27 paesi europei si annuncia lungo, Kiev però non ha tempo e adesso nemmeno soldi.
Senza donazioni e prestiti occidentali le casse dello Stato a marzo sarebbero desolatamente vuote, e da quel momento in avanti il Paese si ritroverebbe impossibilitato a fronteggiare l’invasione russa. Bruxelles si trova di fatto sotto ricatto da parte di Orban, che pur non affermandolo esplicitamente, lega il suo eventuale assenso allo sblocco dei nuovi fondi per Kiev allo stesso trattamento per quelli che Budapest attende da tempo e Bruxelles tiene bloccati. Fondi che l’Europa ha congelato perché contesta al governo magiaro l’adozione di provvedimenti su libertà di stampa e indipendenza della magistratura che lo pongono fuori dallo stato di diritto.
Per chiudere i negoziati sulla revisione del bilancio sarà convocato un vertice straordinario a inizio 2024, tra gennaio e febbraio. In quella sede Bruxelles dovrà decidere se far buon viso a cattivo gioco e sacrificare un pezzetto del suo credo liberaldemocratico pur di continuare a foraggiare l’Ucraina e opporsi all’autocrate russo, sapendo però con Orban di allevarsi in casa un leader che in quanto a stato di diritto è più vicino agli standard di Mosca che a quelli di Bruxelles. E’ il destino di questa Europa acefala, animale dotato di un corpaccione economico e finanziario ma con un cervello politico minuscolo, dove la cessione di sovranità ad un organismo centrale non si è mai compiuta e obbliga a procedere a decisioni all’unanimità. Così anche la piccola Ungheria di Orban può bloccare con il suo veto la decisione unanime di tutti gli altri. E un domani lo potrà fare anche Zelensky.