La tragedia di Torino rivela il volto più oscuro della possessività: quando l’amore malato diventa arma di distruzione di massa.
Torino – La notte del 30 giugno 2024, in via Nizza a Torino, si è consumata una tragedia che racconta molto di più di un semplice fatto di cronaca. Giovanni Zippo, guardia giurata di 39 anni, ha fatto esplodere un intero palazzo per “punire” Madalina Ionela Hagiu, rumena, 30 anni, che non voleva più stare con lui. Il risultato: un morto innocente, Jacopo Peretti di 33 anni, cinque feriti e 45 sfollati. Un femminicidio mancato che si è trasformato in una strage.
L’escalation della violenza di genere
La sera prima della partenza di lei per l’isola d’Elba, il 26 giugno scorso, Madalina e Giovanni erano andati a ballare insieme. Il mattino seguente, era stato proprio lui ad accompagnarla alla stazione. Un gesto apparentemente affettuoso che nascondeva già i propositi di vendetta dell’uomo, che non aveva accettato la fine della loro relazione clandestina, durata circa tre anni.

Tra loro c’era una relazione “aperta”. Lui le prestava dei soldi, che lei – quando poteva – gli restituiva. Più volte le aveva chiesto di lasciare il fidanzato ma lei era stata categorica. Con Giovanni voleva solo divertirsi, nulla di più.
Mentre Madalina si trovava all’Elba insieme al compagno Salvatore Ferrone, che lavorava sull’isola da mesi, Zippo continuava a mantenere i contatti via WhatsApp. Ma dietro quei messaggi si celava un piano distruttivo: non voleva ucciderla ma spaventarla e intimidirla, distruggendole la casa.
Giovanni Zippo e Salvatore Ferrone si conoscevano già e qualche mese prima della tragedia di via Nizza avevano litigato per motivi di gelosia legati proprio a Madalina. Questo episodio del passato aveva probabilmente alimentato il risentimento dell’uomo, che aveva vissuto male la scelta della donna di raggiungere il fidanzato all’isola d’Elba.
I sospetti di Madalina e dei colleghi
I primi sospetti sono sorti quando un vicino di casa ha raccontato a Madalina di aver visto “un ragazzo pelato insanguinato” uscire di corsa dal portone la notte dell’esplosione, tra il 30 giugno e il 1° luglio. Quando la donna ha chiesto a Giovanni Zippo se fosse coinvolto nella deflagrazione, la risposta è stata lapidaria: “Non lo so”.
Dopo l’esplosione, Giovanni Zippo si era recato al Cto con ustioni su gambe, braccia, viso e mani, provocate dalla vampata di benzina che lui stesso aveva innescato. Ai medici aveva però mentito, attribuendo le ferite a un presunto incidente domestico con olio bollente.
Sono stati i colleghi di lavoro a nutrire i primi sospetti, notando che le ferite erano difficilmente compatibili con la versione fornita. “La mattina dopo l’esplosione l’ho incontrato – ha raccontato un collega – e aveva il volto tumefatto. Mi disse che era caduto dalle scale alla stazione di Grugliasco. Ma sapevamo che quella sera avrebbe dovuto essere in servizio. Le sue condizioni non sembravano affatto riconducibili a una semplice caduta”. Nonostante il datore di lavoro gli avesse suggerito di mettersi in malattia, Zippo aveva preferito presentarsi comunque al lavoro.
I sospetti si sono rafforzati quando, circa 24 ore dopo lo scoppio, la sorella di Zippo ha contattato alcuni colleghi del fratello, quelli a lui più vicini. “Tutti sapevamo che in quella via abitava Madalina, che aveva avuto una relazione con lui e che era finita da poco”, ha spiegato un altro collega. Durante quell’incontro, la sorella avrebbe cercato di spingerlo a raccontare la verità.
Zippo ha ammesso le sue responsabilità solo dopo aver appreso che nell’incendio erano rimasti gravemente feriti due bambini e c’era stata una vittima. “Mi vergogno di me stesso e per tutti voi”, avrebbe detto rivolgendosi alla madre e agli amici, prima di decidere di confessare tutto alle autorità. Al momento è piantonato nel reparto grandi ustionati del Cto.
La vicenda di Zippo e Madalina rappresenta il paradigma perfetto di come la violenza di genere possa fomentare fino a coinvolgere un’intera comunità. Non si tratta di un “raptus” o di un “momento di follia”, come spesso viene descritto dalla cronaca. È invece il punto di arrivo di un percorso ben definito: stalking, pressioni psicologiche, controllo, possessività estrema.
Zippo aveva le chiavi dell’appartamento di Madalina. Era entrato più volte in casa nei giorni precedenti, come dimostrano le telecamere di sorveglianza del palazzo. Aveva fatto pressioni perché lei lasciasse il fidanzato. Era arrivato a pianificare una vendetta “lucida e calcolata” quando lei era partita per l’isola d’Elba.
La particolarità di questo caso sta nella metodologia scelta da Zippo. Non ha aggredito direttamente Madalina, non l’ha aspettata sotto casa, non l’ha perseguitata fisicamente. Ha scelto di distruggere simbolicamente la sua vita: incendiare la casa, cancellare i ricordi, anche quelli condivisi, azzerare tutto quello che per lei avesse valore affettivo.
È una forma di violenza psicologica estrema che rivela la natura profondamente narcisistica del perpetratore. “Se non puoi essere mia, non avrai nemmeno una casa in cui tornare”, sembra essere stato il ragionamento. Una logica che trasforma la vendetta in un atto di annientamento totale della persona. Madalina era evidentemente consapevole del pericolo: non a caso ha ritardato il rientro a Torino.
Le vittime collaterali
Jacopo Peretti, 33 anni, originario di Mazzé, è morto per una storia che non lo riguardava. È la vittima più drammatica di una violenza che si è allargata a macchia d’olio, coinvolgendo un intero palazzo. La sua morte rappresenta l’aspetto più agghiacciante della violenza di genere: quando esplode, non colpisce solo la vittima diretta ma può travolgere chiunque si trovi nel raggio d’azione.

Madalina, che si trova ora a fare i conti con le conseguenze dell’ossessione del suo ex amante, ha espresso il suo dolore per la morte di Jacopo Peretti: “Mi dispiace perché non c’entrava nulla”. Le sue parole rivelano lo stato di prostrazione in cui si trova: “Sono distrutta emotivamente, mentalmente e finanziariamente. Non so più che fare e dove andare”.
La normalizzazione della violenza
Un aspetto inquietante di questa vicenda è come Zippo sia riuscito a pianificare tutto con apparente normalità. Era una guardia giurata, aveva un lavoro regolare, viveva una vita apparentemente normale. Nessuno dei suoi colleghi o conoscenti sembra aver percepito segnali di pericolosità estrema.
Questo ci dice molto su come la violenza di genere sia spesso mascherata da una facciata di normalità. Gli uomini violenti non sono mostri riconoscibili a prima vista: sono padri, mariti, fidanzati, colleghi che nella vita pubblica possono apparire perfettamente integrati nella società.