Claudio Campiti

Strage di Fidene, ergastolo per Claudio Campiti: uccise quattro donne

Sentenza della Corte d’Assise di Roma: tre anni di isolamento diurno per l’autore dell’eccidio premeditato dell’11 dicembre 2022. Le vittime furono Nicoletta Golisano, Elisabetta Silenzi, Sabina Sperandio e Fabiana De Angelis.

Roma – Claudio Campiti è stato condannato all’ergastolo con tre anni di isolamento diurno per la strage di Fidene, avvenuta l’11 dicembre 2022 a Roma. La Prima Corte d’Assise, riunita nell’aula bunker di Rebibbia, ha emesso la sentenza il 16 aprile 2025, riconoscendo la premeditazione nell’omicidio di Nicoletta Golisano, Elisabetta Silenzi, Sabina Sperandio e Fabiana De Angelis, uccise durante un’assemblea del consorzio Valleverde. La lettura del verdetto, davanti a sopravvissuti e familiari delle vittime, chiude un capitolo doloroso, ma lascia aperte domande sulle responsabilità del poligono di Tor di Quinto, da cui Campiti rubò l’arma.

La strage: “Esecuzione fredda e premeditata”

L’11 dicembre 2022, nel gazebo del bar “Il Posto Giusto” in via Monte Giberto, Claudio Campiti, 59 anni, fece irruzione durante un’assemblea del consorzio Valleverde. Impugnando una Glock 41 calibro 45, rubata al poligono di Tor di Quinto, si diresse verso il tavolo del consiglio di amministrazione e dei revisori contabili. Dopo aver gridato “Vi ammazzo tutti,” sparò con precisione letale, colpendo Sabina Sperandio (71 anni), Nicoletta Golisano (50 anni) e Fabiana De Angelis (57 anni) in punti vitali, uccidendole sul colpo. Elisabetta Silenzi (55 anni), gravemente ferita, morì giorni dopo in ospedale. L’intervento di Silvio Paganini, che immobilizzò il killer, evitò ulteriori vittime, salvando cinque persone.

Secondo la procura, guidata dal pm Giovanni Musarò, l’attacco fu pianificato nei dettagli a partire da novembre 2022, dopo che Campiti ricevette la convocazione dell’assemblea. L’ordinanza cautelare descrive un “piano omicidiario organizzato,” con l’imputato che portava con sé un caricatore da 13 colpi, 155 cartucce, un coltello a serramanico e un pugnale sub, oltre a una valigia e un passaporto, suggerendo l’intenzione di fuggire, forse all’estero. Il movente risiede in un contenzioso decennale con il consorzio Valleverde, legato a decreti ingiuntivi e spese condominiali, che Campiti percepiva come una persecuzione personale.

La sentenza: ergastolo e isolamento

La Corte d’Assise ha accolto in pieno la richiesta della procura, condannando Campiti all’ergastolo e a tre anni di isolamento diurno, una misura eccezionale che sottolinea la gravità del crimine. La premeditazione, dimostrata dalla scelta dell’arma – una pistola che Campiti, socio del poligono, sapeva usare con perizia – e dalla preparazione meticolosa, ha escluso qualsiasi attenuante. La presenza in aula di sopravvissuti e familiari, tra cui Giulio Iachetti, marito di Fabiana, e i parenti di Nicoletta Golisano, amica della premier Giorgia Meloni, ha reso la lettura della sentenza un momento di forte emozione. “Giustizia è stata fatta, ma il dolore resta,” ha commentato un familiare, riportato da Il Messaggero.

La difesa: respinta la tesi del disturbo mentale

La difesa, rappresentata dall’avvocato Francesco Bianchi, aveva chiesto l’assoluzione per vizio totale di mente, sostenendo che Campiti soffrisse di un disturbo delirante persecutorio, radicato in traumi personali come la perdita del figlio e il divorzio. Una perizia psichiatrica, presentata a settembre 2024, descriveva l’imputato come incapace di comprendere la gravità delle sue azioni, ossessionato dal consorzio come da un “nemico cospiratore.” La Corte, però, ha rigettato questa tesi, ritenendo che la lucidità del piano – dalla sottrazione dell’arma alla preparazione della fuga – dimostrasse piena capacità di intendere e volere. La confessione di Campiti, che non ha mai negato i fatti, ha ulteriormente rafforzato l’accusa.

Le responsabilità del poligono di Tor di Quinto

Il processo, però, ha messo anche in luce gravi carenze nella gestione del poligono di Tor di Quinto, da cui Campiti rubò la Glock. Bruno Ardovini, ex presidente della Sezione Tiro a Segno Nazionale di Roma, e Giovanni Maturo, addetto all’armeria, sono stati condannati rispettivamente a 4 anni e 1 mese e 2 anni per reati omissivi. L’armeria, priva di controlli adeguati, si trovava a 247 metri dalla linea di tiro, con un percorso che attraversava aree pubbliche senza sorveglianza. Dieci mesi prima della strage, il commissariato di Ponte Milvio aveva segnalato queste falle, ma nessuna misura fu adottata. Episodi precedenti, come un suicidio nei bagni del poligono e una rapina con un’arma rubata, erano stati ignorati, con un funzionario che in aula ha parlato di “svista” nella gestione delle segnalazioni.

Chi erano le vittime

Nicoletta Golisano, commercialista di Civitavecchia, Sabina Sperandio, Elisabetta Silenzi e Fabiana De Angelis erano pilastri del consorzio Valleverde, rispettate per il loro impegno. La loro morte ha devastato famiglie e amici. I sopravvissuti, come Emilio Brancadoro, continuano diagnosi di ansia e depressione. La targa commemorativa, inaugurata a Fidene il 11 dicembre 2024, è diventata un luogo di ricordo, ma anche un simbolo della necessità di giustizia. Le parti civili, 36 persone tra familiari e feriti, hanno chiesto risarcimenti, puntando anche alla responsabilità civile del Ministero dell’Interno e della Difesa per omessa vigilanza sul poligono.

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