Emanuela Orlandi e il cavallo di ritorno

Le indagini sulla sparizione della cittadina vaticana e di Mirella Gregori presentavano diversi lati oscuri. Depistaggi, manipolazioni e false piste hanno giocato un ruolo determinante nel chiudere più volte l’inchiesta che finirà a Strasburgo, alla Corte dei Diritti dell’Uomo. Intanto qualcuno rispolvera vecchi nomi ma c’è chi intende metterci una pietra sopra. Per sempre.

Roma – Sulla sparizione di Emanuela Orlandi sono stati scritti fiumi d’inchiostro. Molto spesso inutili se non dannosi, in parte sicuramente fuorvianti dalla realtà. L’ultima delle mille e più mille notizie sulla ragazza, cittadina vaticana, scomparsa da casa a 15 anni il 22 giugno del 1983, non è una novità. Piuttosto si tratta di un cosiddetto “cavallo di ritorno” che nel linguaggio giornalistico significa una notizia scambiata per nuova e rilanciata con risonanza ma che per deontologia professionale non si dovrebbe propinare ai lettori.

Emanuela Orlandi

Torna a tutta pagina, infatti, il nome di Marco Sarnataro, scomparso nel 2007 a 46 anni, quale componente della banda di balordi che avrebbe organizzato il sequestro della ragazzina. Il padre di Sarnataro, Salvatore, 82 anni, pregiudicato, lo aveva riferito a suo tempo agli investigatori della Squadra Mobile capitolina. Gli inquirenti lo avevano sentito come teste in merito alle indagini sul giovane che avrebbe pedinato per mesi Emanuela ed alcuni suoi amici, due dei quali lo avevano riconosciuto in alcune foto segnaletiche.

Marco Sarnataro si sarebbe poi dileguato dopo il sequestro e questa non era certo una coincidenza. L’uomo era un piccolo delinquente di borgata tanto da venire pagato, per il presunto rapimento, con una moto, una Suzuki 1100, dallo stesso capo della banda della Magliana, Enrico De Pedis, che con due lire avrebbe assolto il suo debito:

Marco Sarnataro

”…Dopo aver lungamente riflettuto ho deciso di riferire alle signorie vostre – sottoscrive a verbale, l’1 ottobre del 2008, Salvatore Sarnataro – quanto appreso da mio figlio Marco alcuni anni fa in relazione alla vicenda di Emanuela Orlandi. Poco tempo dopo il sequestro, ricordo che eravamo Regina Coeli, sia io che mio figlio…

Quest’ultimo durante l’ora d’aria mi confessò di aver partecipato al sequestro Orlandi nei termini seguenti: mi disse che per diversi giorni, sia lui che “Ciletto” (Angelo Cassani) e “Giggetto” (Gianfranco Cerboni), pedinarono Orlandi per le vie di Roma su ordine di Renato De Pedis, da loro chiamato il “Presidente”. Mio figlio mi disse che dopo averla pedinata per alcuni giorni, ebbero da De Pedis l’ordine di prelevarla. Marco mi riferì che l’avevano fatta salire su una Bmw berlina in piazza Risorgimento ad una fermata dell’autobus. La ragazza salì sulla macchina senza problemi. Almeno questo mi raccontò Marco. Mio figlio mi disse che erano stati sempre loro a prelevare la ragazzina non mi specificò se erano tutti e tre…

Enrico De Pedis

Di certo c’era Marco e uno tra “Giggetto” e “Ciletto”, però potevano essere anche tutti e tre perché Marco usò l’espressione l’abbiamo presa. Quindi la condussero al laghetto dell’Eur dove li stava aspettando Sergio, che era l’autista e uomo di fiducia di De Pedis. Stando al racconto di Marco, sia la ragazza che l’autovettura vennero prese in consegna da Sergio. Venni a sapere poi che mio figlio, per questa cortesia, ebbe in regalo una moto Suzuki 1100. Non mi ricordo se Marco mi disse chi gli avesse dato la moto, se Raffaele Pernasetti oppure un’altra persona. Io non so davvero perché Marco decise di raccontarmi del suo ruolo nel sequestro Orlandi, io compresi subito che stava passando un periodo di grande paura…”.

Dunque che la banda della Magliana costituisse il braccio del rapimento, sulla scorta di queste dichiarazioni e di una montagna di atti giudiziari, non ci sarebbero più dubbi ma chi era la mente? E qui casca l’asino perché ancora oggi c’è chi teme che si giunga ai nomi dei responsabili della morte della Orlandi e anche di Mirella Gregori, sempre di 15 anni, l’altra ragazzina sparita un mese prima, il 7 maggio 1983.

Franco Giuseppucci, detto “er Negro”

In quegli anni anche altre giovanette, e ragazzini, subirono la stessa sorte, chi spariva e chi moriva ammazzato. Magari in un incidente stradale. Un giro sporco dentro le mura del Sacro Soglio? Del resto De Pedis aveva rapporti solidi con il Vaticano. E prima di lui li intratteneva Franco Giuseppucci, detto “er Negro”, altro personaggio di spicco assassinato il 13 settembre 1980. La verità è ancora nascosta laddove è d’obbligo il segno della croce.

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