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Ecco il ddl sul sequestro degli smartphone: via libera al Senato, l’opposizione si divide

In base al provvedimento, che ora passa alla Camera, sarebbe il gip a decidere se autorizzare il sequestro e non più il pubblico ministero.

Roma – Via libera del Senato alla stretta sul sequestro degli smartphone, di pc e tablet nell’ambito delle indagini. Con 84 voti a favore, 18 contrari e 34 astenuti, l’Aula di palazzo Madama ha approvato il disegno di legge a firma Pierantonio Zanettin (Forza Italia) e Giulia Bongiorno (Lega), riscritto dal governo a febbraio tramite un emendamento del relatore, Sergio Rastrelli di Fratelli d’Italia. Con il provvedimento, che ora passa all’esame della Camera, ora sarebbe il gip a decidere se autorizzare il sequestro e non più il pubblico ministero. Lo stesso Zanettin, che è firmatario del ddl cita il caso Palamara e dice così “Basta scempi, ora tuteliamo la privacy”.

La norma centrale del testo è l’articolo 1, che inserisce nel codice di procedura penale (all’articolo 254-ter) una nuova e complessa disciplina del “sequestro di dispositivi e sistemi informatici o telematici”: in sintesi, se adesso il pm può acquisire il device ed estrarne i contenuti in autonomia – con un semplice decreto motivato – domani serviranno due successive autorizzazioni del gip, una per il sequestro e un’altra per l’estrazione, entrambe impugnabili al Riesame e poi in Corte di Cassazione. Nel mezzo ci sarà una sorta di udienza per la duplicazione dei contenuti, con la partecipazione di una pletora di avvocati e consulenti di parte.

Pierantonio Zanettin, primo firmatario del ddl

Il testo prevede una stretta ai pm sul sequestro dei telefonini, che ormai contengono la “vita intera” di una persona, come hanno sottolineato esponenti della maggioranza. Il provvedimento anticipa, infatti, il controllo del giudice sull’attività di acquisizione dei dati disposta dai pubblici ministeri a maggiore tutela della privacy dell’indagato e dei soggetti che sono terzi rispetto al procedimento. Con maggiori garanzie nella fase della acquisizione dei dati, consente ai difensori e ai consulenti tecnici dell’indagato di partecipare alla dinamica della duplicazione dei dati e di formulare le proprie critiche in via preliminare rispetto alla fase del processo.

Tra le nuove regole, quella che stabilisce che solo le informazioni considerate rilevanti debbano finire nel fascicolo processuale e prevede, di fatto, che tutto ciò che equivale a vera e propria corrispondenza – come i carteggi mail e le conversazioni attraverso messaggi e WhatsApp – sia soggetto, sia per modalità di conservazione che di utilizzo – alle regole del codice che riguardano le ‘più tradizionali’ intercettazioni. Diverse le reazioni di maggioranza e opposizione: quest’ultima si è spaccata, tra M5S che ha votato contro e il Pd che si è astenuto.

Soddisfatto il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto, che sottolinea: “La nuova disciplina per il sequestro penale di smartphone, pc e tablet, va nella direzione giusta: maggiore tutela dei cittadini, a partire dalla garanzia del diritto alla riservatezza costituzionalmente riconosciuto, e del riconoscimento della centralità del giudice”. E aggiunge che “affidare la decisione sul sequestro dei cellulari, con la successiva disamina e acquisizione dei messaggi in essi contenuti, non più alla libera iniziativa del Pm ma al prudente
vaglio del giudice, significa dare concretezza ai principi costituzionali”.

Il viceministro Francesco Paolo Sisto

Il capogruppo di Forza Italia in Commissione Giustizia al Senato, Pierantonio Zanettin, si è molto battuto per l’approvazione del ddl: “Il telefono cellulare è diventato la ‘scatola nera’ – ha detto – della vita di ciascuno di noi. Acquisirne in modo massivo i contenuti significa travolgere la privacy non solo dell’indagato, ma anche dei soggetti terzi che con lui interagiscono. Di fronte a questo, le norme codicistiche sul sequestro penale appaiono obsolete e inadeguate. Serve una disciplina ad hoc. La selezione dei contenuti dovrà poi essere assistita da un contraddittorio tra le parti, per decidere cosa sia rilevante, anche in relazione alla conservazione dei dati nell’archivio digitale delle intercettazioni, da quanto invece non è penalmente rilevante, che deve rimanere segreto e non transitare nel fascicolo del dibattimento e tantomeno sulle pagine dei giornali”.

E aggiunge: “in passato sono stato indirettamente interessato dal sequestro del telefonino di un soggetto terzo. Ancora oggi la mia chat di messaggi whatsapp scambiati con Luca Palamara, conosciuto ai tempi della mia consiliatura al Csm, è on line sul sito di un noto quotidiano pur non avendo alcuna rilevanza penale, disciplinare o ‘gossippara’. Questo perché la chat è stata prima oggetto di sequestro, e poi acquisita al fascicolo di indagine e, quindi, transitata sulle pagine dei quotidiani. In quella vicenda molto peggio è andata a tanti magistrati, interlocutori di Palamara. Le loro chat, penalmente e disciplinarmente irrilevanti, sono divenute pubbliche e sono state utilizzate per penalizzare prospettive di carriera e mortificare professionalità. Con questo intervento normativo si porrà finalmente un freno a simili scempi”, ha concluso.

Positivo il parere anche del senatore di Italia viva, Ivan Scalfarotto, che durante le dichiarazioni di voto al ddl ha fatto notare come gli smartphone contengano “tutta la nostra vita, e intorno a questi strumenti è quindi necessario stabilire una rete di protezione, quella che i costituenti e i legislatori consideravano propria della corrispondenza e delle conversazioni telefoniche. E’ giusto quindi – ha spiegato il senatore Iv – che le stesse
regole di protezione costituzionale valgano anche per la messaggistica. Così non è, e le conseguenze possono essere molto serie, come avvenuto nella vicenda Open”, ha concluso.

Sul piede di guerra invece il M5S, con il senatore e ex magistrato Roberto Scarpinato, che ha parlato di “schizofrenia, un altro piccolo capolavoro di ingegneria giuridica idoneo a ingolfare ulteriormente uffici
giudiziari già allo stremo per carenza di mezzi e risorse.
In questo Parlamento sembra di vivere in un’altra Italia: mentre il paese reale è dissanguato da un esercito di comitati di affari in combutta con clan mafiosi, nelle aule parlamentari la principale preoccupazione della maggioranza non è quella di contrastare la corruzione e la mafia dei colletti bianchi, ma, al contrario, quella di contrastare la magistratura, gli organismi di controllo ed il giornalismo investigativo indipendente. In Parlamento si confrontano le rappresentanze politiche di due Italie diverse: quella dei potenti intoccabili e quella dei cittadini – ha concluso – che credono ancora nei valori della giustizia e della legalità”.

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