E’ la casa di proprietà a salvare l’italiano da crisi e disuguaglianze

Grazie al mattone i ceti meno abbienti del Belpaese hanno una ricchezza superiore ai “poveri” tedeschi che preferiscono l’affitto.

Roma – Dove non sono arrivate le politiche fiscali, il welfare, il mercato del lavoro e la scuola, insomma là dove lo Stato ha ripetutamente fallito nel tentativo di redistribuire almeno una parte della ricchezza accumulata nel Paese, ci hanno pensano gli italiani, previdenti, a rimboccarsi le maniche e metterci una pezza. Popolo di poeti, santi e navigatori e, non da oggi, compratori di case, gli abitanti del Belpaese sono da sempre innamorati del mattone, bene rifugio, emblema di emancipazione sociale, simbolo di sicurezza. Dal secondo Dopoguerra ad oggi, generazione dopo generazione, si sono spezzati la schiena e hanno risparmiato fino all’ultima lira/euro pur di coronare il sogno di una vita intera: la casa di proprietà.

E chi pensava che l’infatuazione dell’italiano medio per il sudato “localino”, conquistato al termine di mutui pluridecennali, fosse soltanto il riflesso di una bramosia di possesso piccolo borghese, oggi deve ricredersi, perché si è scoperto che è proprio il caro vecchio mattone l’unico argine possibile alla caduta nella povertà assoluta, che la passione degli italiani per la casa di proprietà, anche fra i ceti meno abbienti, rende il nostro paese meno squilibrato sul fronte della ricchezza netta rispetto alla media europea.

Banca d’Italia: il 5% delle famiglie italiane detiene il 46% della ricchezza del Paese

I dati dello studio di Banca d’Italia fotografano una titanica sperequazione della ricchezza nel Paese, dove il 5 per cento delle famiglie detiene il 46 per cento della ricchezza, mentre il 50 per cento di quelle più povere si deve accontentare delle briciole, fermandosi all’8 per cento del totale. I dati si riferiscono alla fine del 2022, e il rapporto ha analizzato l’andamento di questi numeri dal 2010 in poi. I principali indici di disuguaglianza sono rimasti “stabili tra il 2017 e il 2022”, dopo essere “aumentati tra il 2010 e il 2016” in seguito alla crisi economica e finanziaria che ha avvantaggiato la polarizzazione della ricchezza.

In questo desolante deserto di disuguaglianze crescenti, l’Italia per una volta non si colloca tra i cattivi d’Europa. C’è chi sta peggio, a partire udite udite dalla Germania. E a salvarci sono proprio le case di proprietà. L’Italia, infatti, si colloca al di sotto della media Ue per concentrazione della ricchezza. L’indice di Gini (parametro di riferimento per l’omogeneità della ricchezza), misurato alla fine del 2022, si attesta a quota 0,71 sugli stessi livelli della Francia e dietro la Germania che appare «il Paese con il maggior grado di disuguaglianza in termini di ricchezza netta».

Il divario rispetto al complesso dell’area riflette la più elevata quota di ricchezza netta detenuta in Italia dalle famiglie al di sotto della mediana (legata soprattutto al possesso di abitazioni). Lo studio ha evidenziato come “metà della ricchezza degli italiani (50,2%) sia rappresentata dalle abitazioni” e come “tale percentuale varia tuttavia fortemente in base alla ricchezza: le abitazioni rappresentano i tre quarti della ricchezza per le famiglie sotto la mediana, si attestano poco sotto il 70% per quelle della classe centrale mentre scendono a poco più di un terzo per quelle appartenenti alla classe più ricca”.

Diminuisce la percentuale delle case detenute da un ceto medio che si è impoverito

Quindi, casa dolce casa, anche se in prospettiva questo muro faticosamente eretto contro la disuguaglianza comincia a mostrare qualche crepa. Se infatti nel 2010 circa la metà delle case erano di proprietà della classe media, nel 2022 questo dato è diminuito al 45%. Perché il ceto mediano si è con gli anni impoverito al punto da non riuscire più a mantenere o comprare nuove case. Viceversa ha aumentato gli acquisti immobiliari il 10 per cento delle famiglie più ricche.

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