Quando ha sparato compiendo una strage non era in sé ma i parenti delle vittime non accettano una sentenza che non rende giustizia alle vittime. Al posto dell’ergastolo l’assassino rimarrà per trent’anni dentro una Rems ma la legge sulle residenze che sostituiscono i manicomi criminali andrebbe riveduta e corretta.
Trieste – Incapace di intendere e di volere l’assassino di Pierluigi Rotta, 34 anni, e Matteo Demenego di 31, i due poliziotti di Trieste morti ammazzati in Questura il 4 ottobre del 2019. Alejandro Augusto Stephan Meran, 32 anni, di origini domenicane, autore del duplice omicidio aggravato e responsabile del ferimento di altri 8 agenti, non è imputabile perché durante la terribile sparatoria non era capace di intendere e volere.
Stante la sentenza della Corte d’Appello della città Giuliana, emessa nei giorni scorsi, l’uomo eviterà l’ergastolo ma trascorrerà 30 anni della sua vita presso una cosiddetta Rems (acronimo di Residenza per l’esecuzione di Misure di sicurezza). Appena letto il provvedimento il fratello di un poliziotto deceduto avrebbe tentato di aggredire uno degli avvocati difensori ma è stato prontamente allontanato dai carabinieri presenti in aula.
La sentenza era praticamente annunciata ma lascia discutere molto la normativa sulle Rems che andrebbe totalmente modificata per assicurare certezza della pena e, soprattutto, cure e assistenza reali a chi ha compiuto una strage con il cervello in tilt. La tragedia si era consumata nel giro di pochi, terribili minuti. I due poliziotti della squadra Volante, Pierluigi Rotta e Matteo Demenego, erano appena entrati in questura dove avevano accompagnato un fermato per furto di uno scooter, Alejandro Augusto Stephan Meran. Negli uffici di polizia si trovava anche il fratello dell’arrestato, Carlysle Stephan Meran, libero cittadino.
Giunti nel corridoio Alejandro Augusto avrebbe chiesto di andare in bagno e mentre i due agenti rispondevano al giovane quest’ultimo, con mossa fulminea, estraeva la pistola dalla fondina di Rotta ed iniziava a sparare. L’agente scelto, colpito da due proiettili sul lato sinistro del torace e all’addome, si accasciava sul pavimento in un lago di sangue. Poi toccava a Demenego che vedendo il collega agonizzante tentava di reagire ma veniva colpito da tre proiettili alla spalla sinistra, al braccio sinistro e alla schiena, e spirava poco dopo.
Alejandro Augusto riusciva a disarmare anche il secondo agente e continuava a sparare all’impazzata. Nel frattempo il fratello dell’assassino, per paura di essere ucciso, si barricava all’interno di una stanza per poi fuggire nei sotterranei dell’edificio dove veniva bloccato da altri poliziotti. Con due pistole in mano Alejandro Augusto, sparando ad altezza d’uomo, tentava di salire le scale che portano ai piani superiori rispondendo al fuoco di alcuni agenti.
Subito dopo l’uomo decideva di uscire dal palazzo di via di Tor Bandena sparando ancora contro chiunque indossasse una divisa mentre gli agenti di guardia tentavano di sbarragli il passo. Ben otto poliziotti dunque venivano feriti dai 23 colpi sparati dal domenicano che poi veniva leggermente ferito, disarmato e ammanettato dai poliziotti delle Volanti.
Una strage in piena regola finita fra aspre polemiche, la rabbia dei familiari e giustizia a metà. Insulti sono volati contro il Pm Federica Riolino che, a malincuore, aveva fatto la propria richiesta in dibattimento:
”…Mi dispiace per la richiesta che sto per fare – aveva detto in udienza l’inquirente – non la faccio a cuor leggero, ma è questa la verità processuale a cui siamo arrivati…”. Lo stesso Procuratore di Trieste, Antonio De Nicolo, ha tenuto un lungo intervento durante il quale ha motivato la decisione che ha sconvolto i familiari delle vittime e i rappresentanti delle forze dell’Ordine:
”… Questa tragedia è una ferita per tutti i cittadini italiani: due bravi ragazzi, giovani agenti, che sono morti così – ha aggiunto De Nicolo – È una tragedia che ha sconvolto la vita di due famiglie, nei confronti delle quali possiamo avere solo profondo rispetto e silenzio. Pensiamo che l’ergastolo possa lenire il dolore? Oppure che possa farlo un internamento in una Rems? Due vite distrutte non hanno possibilità di riparazione, ma noi abbiamo uno strumento riparatorio che è il processo. Già la consulenza del pubblico ministero aveva concluso per la totale infermità. L’uomo sarà internato in una Rems, ma va ricordato che queste sono strutture insufficienti e inadeguate, mentre Meran è socialmente pericolosissimo…”.