Dramma carceri: detenuto si impicca a Prato, è il 77esimo suicidio nel 2024

E’ accaduto nell’istituto penitenziario della Dogaia. Si tratta del quarto caso in meno di un anno nella casa circondariale toscana.

Prato – Si continua a morire dietro le sbarre. I numeri e i drammi crescono. E proprio nel giorno in cui Papa Francesco annuncia che il giorno dopo l’avvio ufficiale del Giubileo, il 26 dicembre, “sarà nel carcere romano di Rebibbia per aprire anche in quel luogo la Porta Santa”, in segno di vicinanza alle tragedie dei detenuti, c’è un altro caso. Riguarda un detenuto di 50 anni, italiano, che si è suicidato impiccandosi nella sua cella della casa circondariale toscana. L’uomo era in carcere per reati “a grande riprovazione sociale e con fine pena fissato al 2030”. 

A riferire l’accaduto, in una nota, il segretario nazionale del sindacato Uilpa penitenziari Gennarino de Fazio, il quale spiega che “a nulla sono valsi i soccorsi della Polizia penitenziaria e dei sanitari”. Si tratta, afferma il sindacalista, del 77esimo che si toglie la vita dall’inizio dell’anno, “il quarto alla Dogaia, cui bisogna aggiungere 7 appartenenti alla Polizia penitenziaria che, parimenti, si sono suicidati in quella che è una strage senza fine”.

La vicinanza del Papa alle tragedie della detenzione

“Sebbene nell’ultima parte dell’anno pare vi sia stato un leggero rallentamento nelle morti di carcere – fa notare -, siamo sempre alle prese con numeri destinati ad abbattere ogni precedente record. Del resto, la crisi penitenziaria continua a non essere tangibilmente affrontata dal Governo e gli indicatori sono tutti in negativo. 15mila detenuti oltre i posti disponibili, 18mila unità mancanti alla Polizia penitenziaria, omicidi, suicidi, violenze di ogni genere, stupri, piazze di spaccio e malaffare. Queste sono oggi le nostre prigioni. A pagarne le spese, oltre ai reclusi, i 36mila donne e uomini della Polizia penitenziaria che scontano le pene dell’inferno per la sola colpa di essere al servizio dello Stato”. 

E ancora, “carichi di lavoro debordanti, turni di 8, 16 e persino 24 ore ininterrotte, oltre 3mila aggressioni subite nel solo 2024, mortificati nel morale e colpiti nell’orgoglio anche per una gestione organizzativa e amministrativa che spesso li discrimina e li svilisce, come nei recentissimi casi della missione in Albania o del trasferimento forzoso dai minori agli adulti”, aggiunge il Segretario della UILPA Polizia Penitenziaria. “Serve immediatamente un’inversione di tendenza. Va deflazionata la densità detentiva, necessita potenziare concretamente gli organici della Polizia penitenziaria assicurando al contempo ai suoi appartenenti un trattamento paritario con i restanti operatori del comparto, occorre garantire l’assistenza sanitaria e psichiatrica e, non ultimo, va riorganizzato per intero l’apparato gestionale e amministrativo”, conclude De Fazio.

Il bollettino di morte continua a salire. Nel Focus per l’anno 2024 del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà nazionale, i dati erano aggiornati al 16 settembre: erano 67 suicidi da inizio 2024, +19 rispetto al 2023. Ma nel frattempo l’emergenza non si è fermata e la cifra sale impietosa: altri dieci casi dalla data di quel report. Numeri che variano di ora in ora. Ma il Focus del Garante ha tentato di andare a fondo del dramma, analizzando la mappa della scia di morte, l’identikit di chi si toglie la vita e il perché del gesto estremo. Innanzitutto emerge il numero dei penitenziari coinvolti. Gli istituti in cui si sono verificati i suicidi sono 46 (pari al 24% del totale delle strutture penitenziarie): 41 Case circondariali e 5 Case di reclusione. 

Va evidenziato che le sezioni maggiormente interessate sono quelle a custodia chiusa, con 57 casi (pari all’85%), mentre in quelle a custodia aperta sono stati registrati 10 casi (pari al 15%). Delle 67 persone che si sono tolte la vita in carcere (fino al 16 settembre scorso), 29 erano state giudicate in via “definitiva” e condannate (43%), mentre 9 avevano una posizione cosiddetta “mista con definitivo”, cioè avevano almeno una condanna definitiva e altri procedimenti penali in corso; 24 persone (36%) erano in “attesa di primo giudizio”, 2 ricorrenti, 2 appellanti e 1 internato provvisorio.

La maggior parte delle persone era accusata o era stata condannata per reati contro la persona 34 (pari al 51%), tra questi si riportano quelli di maggiore rilievo: 13 per omicidio (tentato o consumato), 8 di maltrattamento in famiglia e 4 di violenza sessuale. A seguire i reati contro il patrimonio 23 (pari al 34%), per legge droga (5). Poco significativi sul piano statistico appaiono invece gli altri tre tipi di reato: contro le immigrazioni clandestine (1) per detenzione di armi (2) e concorso in reato (1), per atti persecutori (1) e in 1 caso il dato è mancante.

Tra i detenuti che si sono suicidati, 35 persone, (pari al 52%), si sono suicidate nei primi 6 mesi di detenzione; di queste: 7 entro i primi 15 giorni, 5 delle quali addirittura entro i primi 5 giorni dall’ingresso. Analizzando i dati relativi agli eventi critici, è stata rilevata la presenza di eventuali fattori indicativi di fragilità o vulnerabilità. La lettura ha fatto emergere che 36 persone (pari al 54%) erano coinvolte in altri eventi critici e di queste 16 (ossia il 24%) avevano precedentemente messo in atto almeno un tentativo di suicidio. Inoltre, 14 persone (ossia il 21% dei casi) erano state sottoposte alla misura della “grande sorveglianza” e di queste 5 lo erano anche al momento del suicidio.

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