DIVISIONI NELLA MAGGIORANZA, SPACCATURA CON I VERTICI DEL MOVIMENTO E DISSENSO PER LA SCELTA DI UN GOVERNO ROSSO- VERDE: QUESTI I MOTIVI DELLE DIMISSIONI DELLA SINDACA DI IMOLA, CHE DICHIARA DI NON ESSERE UN BURATTINO DEL PD
Imola – Imola, la fiorente cittadina di circa 70 mila abitanti in provincia di Bologna, famosa in tutto il mondo per l’autodromo “Enzo e Dino Ferrari”, che fino al 2006 ospitò il Gran Premio di Formula Uno, nella serata di lunedì 28 ottobre è stata teatro delle dimissioni della sindaca grillina Manuela Sangiorgi.
E’ il secondo duro colpo incassato dai pentastellati, dopo la schiacciante vittoria in Umbria del centro-destra, anche se era già nell’aria che questa giunta comunale avrebbe comunque avuto vita breve, viste le continue faide politiche che hanno caratterizzato fin dall’inizio il mandato della ormai ex sindaca.
Sposata, due figli, la quarantasettenne ragioniera responsabile del patronato Uil, per cinque anni consigliera comunale Cinquestelle all’opposizione, era stata protagonista di una vittoria clamorosa nella città che si considera orgogliosamente romagnola, nonostante i confini amministrativi emiliani. Fino alle elezioni amministrative del giugno 2018, Imola era stata, per ben 73 anni, una roccaforte del centro-sinistra, ma la candidata del M5S aveva a sorpresa avuto la meglio al ballottaggio contro la rivale del centro-sinistra, Carmen Cappello, ottenendo il 55,44% dei voti. Sangiorgi è diventata, così, la prima donna sindaca della città di Imola.
L’era della Sangiorgi è stata particolarmente travagliata: ben cinque gli assessori usciti della sua compagine, ovverosia Massimiliano Minorchio, Ezio Roi, Ina Dhimgjini, Maurizio Lelli e Rosa Lucente, guidati dall’ex capo-gruppo Fabrizio Favilli. Inoltre il consigliere comunale Fabiano Cavina aveva abbandonato il Movimento passando alla Lega.
A tutto ciò va aggiunta la querelle con il presidente di Formula Imola, Umberto Selvatico Estense, a suon di dichiarazioni sempre più infuocate, nell’ultima delle quali la ex sindaca chiedeva le dimissioni di Selvatico dalla presidenza. La querelle è andata oltre i due protagonisti, sconfinando nella delibera n. 36, del 28 febbraio 2019, in cui si conferiva mandato al sindaco di avanzare querele contro gli articoli on-line ed i relativi post in cui venisse ravvisato un reato di calunnia contro l’amministrazione.
“Quando venivo in Comune era come entrare nella foresta dei pugnali volanti”, le parole dell’ex sindaca, che ha accusato il MoVimento di averla lasciata sola.
Diverse le reazioni alle dimissioni, prima tra tutte quella dell’ex capogruppo dei Cinque Stelle Favilli, che ha accusato la ex sindaca di aver cacciato gli assessori più rappresentativi del MoVimento, di aver costantemente appoggiato Matteo Salvini sui giornali e poi governato contro il proprio partito. Non è mancata anche la voce di Massimo Bugani, capo staff di Virginia Raggi in Campidoglio, consigliere comunale a Bologna e tra i principali referenti del MoVimento in Emilia-Romagna, il quale ha definito la Sangiorgi come soggetto commissariato di fatto dalla Lega ed isolato da tutti, in quanto ogni sua scelta passava al vaglio del consigliere leghista Simone Carapia.
Secondo i consiglieri del Pd, Marco Panieri, Roberto Visani, Fabrizio Castellari, Giacomo Gambi e Daniela Spadoni, Manuela Sangiorgi ha prolungato un’agonia di 15 mesi, con un’assenza di dialogo e un’evidente inadeguatezza.
Difficile ora prevedere il futuro: si potrebbero forse ipotizzare una nuova candidatura di Cappello per il centro-sinistra, di Nicolas Vacchi, Simone Casapia o Daniele Marchetti per il centro destra, mentre Fabrizio Favilli, Maurizio Lolli, Gabriele Betti sono i nomi più caldi in casa Cinquestelle.