Il caso siciliano emblematico della difficoltà nazionale di multare le toghe ritardatarie. Come il giudice-poeta con 858 fascicoli arretrati.
Palermo – Diciannove mesi per le “Spese pazze” dell’Assemblea regionale siciliana; oltre dieci per “Sorella
Sanità”; quasi undici per il processo che vede imputato l’assessore comunale ai Lavori pubblici di Palermo, Salvatore Orlando, in questi giorni al centro della polemica politica siciliana. Sono solo tre dei tanti processi penali pendenti alla prima sezione della Corte d’appello siciliana, in cui le motivazioni delle sentenze tardano a essere depositate: il collegio, in cui si sono avvicendati tanti giudici, trasferiti per scadenza dei dieci anni di permanenza nella stessa sezione o perchè hanno ottenuto altri incarichi, ha un notevole arretrato, anche per processi in qualche modo “pesanti”. Un fenomeno non solo siciliano, ma che racconta delle difficoltà di sanzionare le toghe ritardatarie.
Il codice di procedura penale stabilisce un termine massimo di 180 giorni per il deposito delle motivazioni delle sentenze nei casi più complessi. Sebbene questi termini non siano perentori, il Consiglio superiore della magistratura (Csm) ha attivato diversi procedimenti disciplinari contro i giudici in ritardo, in seguito a scarcerazioni o prescrizioni determinate proprio da tali ritardi. Un esempio dei ritardi è quello del processo a “Totò” Orlando, imputato (quando era presidente del Consiglio comunale) di tentata concussione per
avere cercato di indurre il componente di una commissione di una selezione interna al Comune, a favorire un candidato a lui vicino.
Orlando, esponente di Italia viva e attuale assessore nella giunta di Palermo, è al centro di una polemica politica. Numerosi esponenti del centrodestra hanno chiesto al sindaco Roberto Lagalla di rimuoverlo dall’incarico, soprattutto dopo gli attacchi politici rivolti al presidente della Regione, Renato Schifani, da parte del deputato renziano Davide Faraone. Tuttavia, Lagalla ha guadagnato tempo parlando di una verifica entro la fine dell’anno. E poi c’è il caso delle “Spese pazze”, che riguarda l’uso improprio dei fondi pubblici da parte di deputati regionali, accusati di averli utilizzati per scopi personali, come la sostituzione di infissi o l’acquisto di automobili. La sentenza di secondo grado risale al 4 maggio dello scorso anno, ma le motivazioni non sono ancora state depositate.
Tra gli imputati c’è l’ex sindaco di Catania, Salvo Pogliese, ora parlamentare di Fratelli d’Italia. In caso di condanna, Pogliese potrebbe essere soggetto alla Legge Severino, con conseguente decadenza dal suo incarico, ma il processo è fermo a causa del ritardo nel deposito delle motivazioni. Un altro caso eclatante riguarda l’inchiesta “Sorella Sanità”, che coinvolge ex funzionari e figure di spicco della sanità siciliana, accusati di corruzione in relazione a maxi-appalti per ospedali e aziende sanitarie. La sentenza di secondo grado, emessa il primo dicembre 2023, è anch’essa in attesa delle motivazioni, bloccando così il ricorso in Cassazione.
Ritardare il deposito di una sentenza, o di un qualsiasi provvedimento giudiziario, difficilmente comporta per il magistrato una sanzione disciplinare. Era diventata nota qualche anno fa la vicenda di un presidente di tribunale che aveva segnalato al Csm come un giudice non riuscisse proprio a depositare le sentenze rispettando i tempi. E ciò nonostante avesse condiviso con il diretto interessato un programma di smaltimento dell’arretrato. Il magistrato, recidivo, era stato condannato per avere depositato con ritardi di anni, centinaia di sentenze. “Ritardi gravi ed ingiustificati proseguì il pg – nonché pregiudizievoli del diritto delle parti ad ottenere la definizione in tempi ragionevoli del processo secondo quanto previsto dall’articolo 111 comma 2 della Costituzione e 6 Cedu”.
Il Csm, a sorpresa, lo aveva assolto poiché negli anni nessun avvocato si era mai lamentato ufficialmente della gestione del ruolo del magistrato. Era stato anche tenuto conto di ragioni personali del magistrato. E c’è una pronuncia della Cassazione in tema di ritardi che dice che “prima di sanzionare un magistrato, è importante analizzare il complessivo carico di lavoro del magistrato, da valutarsi sulla base del numero di cause sul ‘ ruolo”, indipendentemente da quelle effettivamente trattate e decise, sia in relazione alla sussistenza e all’entità di impegni aggiuntivi di tipo amministrativo o organizzativo. E ciò tenendo conto del momento in cui tali impegni siano sopravvenuti e della loro durata rispetto al verificarsi dei ritardi, al fine di valutare la sussistenza di eventuali significative ingerenze sulla programmazione del lavoro dell’incolpato“.
E c’è pure il caso dell’ex giudice-poeta Ernesto Anastasio che ha appeso la toga per quei ritardi, lo scorso anno. Aveva 858 fascicoli arretrati al tribunale di sorveglianza di Perugia, dove lavorava dal 2021. Era stato già sospeso dalle funzioni e dallo stipendio dalla sezione disciplinare del Csm e rischiava una dispensa dal servizio, ma alla fine ci ha pensato lui in prima persona presentando le dimissioni irrevocabili dalla magistratura. Attanasio, come accertato dalla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, ha anche omesso di depositare, o in altri casi depositando ben oltre i termini previsti, provvedimenti relativi alla libertà personale o alle condizioni di vita in carcere dei condannati.