Da Pannella al caso Toti, corsi e ricorsi storici del finanziamento pubblico ai partiti

Letta fa il grande passo di cancellarlo nel 2014: restano i contributi ai gruppi parlamentari di Camera e Senato, 50 milioni nel 2019.

Roma –  Il grande tema del finanziamento pubblico ai partiti è tornato prepotentemente in auge con il caso Toti ma, tra corsi e ricorsi storici il dibattito tra “stop and go” c’è sempre stato. Ne sapeva qualcosa Marco Pannella, che nel 1978, lanciò un referendum contro i soldi alla politica. “Cominciano ad avere paura, sentono che il bottino sta andando a male, che la farina del diavolo forse è vero che qualche volta va in crusca”. Nei passaggi epocali del nostro Paese c’è sempre lo zampino di Pannella. Oggi molti partiti insistono per un ritorno al vecchio sistema pubblico. Ma quel sistema, in un senso o nell’altro, ha sempre fatto discutere sin dalla sua nascita.

L’idea di sostenere l’attività dei partiti con denaro pubblico è della Dc, con Flaminio Piccoli che ci mise la faccia: è sua la legge sul ‘contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici’, nel ’74. Viene approvata in quattro e quattr’otto. Tutti d’accordo, con l’eccezione del Pli. Ma perché si arriva alle legge Piccoli? Per
favorire la trasparenza, si disse. Qualche anno prima, infatti, era scoppiato il ‘caso Trabucchi’, il primo sul finanziamento illecito. Nel ’65 il senatore Dc Giuseppe Trabucchi, ex ministro delle Finanze, viene tirato in ballo per una storia di tangenti per il via libera a licenze ‘irregolari’ concesse a due aziende per l’importazione di tabacchi messicani. Niente di nuovo, viene da dire a distanza di anni.

Marco Pannella

Altri casi del genere si verificarono in quegli anni. E l’opinione pubblica apparve molto colpita. Così la politica si mosse. La legge Piccoli introdusse una forma di contributo statale per il funzionamento ordinario dei partiti e una ulteriore forma di contributo a titolo di rimborso per le spese elettorali per le elezioni politiche, europee e regionali. Negli anni, altre leggi misero mano al sistema. Un sistema che ha retto, in sostanza, fino al 1993, quando Pannella tornò alla carica e ripropose il referendum sul finanziamento pubblico con il comitato Segni. Sull’onda emotiva di Tangentopoli, un altro mondo, il sì ottiene il 90,3%. Un trionfo. L’esito del referendum fu però, concretamente, quello di bloccare solo una parte del sistema, non quello legato all’attività elettorale dei partiti.

Da allora sono stati diversi gli interventi legislativi. Oltre alla legge ‘abrogativa’ del ’93, nel ’95 e ’99 ne
vennero approvate altre che, in sostanza, aumentarono la quota dei rimborsi elettorali così da sostituire, nei fatti, il finanziamento pubblico formalmente abolito. Il sistema, insomma, ha retto. Nonostante i vari scandali, da quello Lusi (Margherita) a quello Belsito (Lega), solo per citarne alcuni. Ciclicamente, negli anni si è chiesto lo stop ai finanziamenti pubblici per bloccare i casi di uso improprio e per aumentare la trasparenza.
La svolta è (relativamente) recente. La prima ‘spallata’ al sistema è venuta dal governo Monti, che si mosse in uno scenario di recessione economica e di ‘caccia’ agli sprechi. Nel 2012 i rimborsi vennero poi in parte ‘sforbiciati’.

Enrico Letta

Il grande passo lo fece il governo Letta: “Avevo promesso ad aprile l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti entro l’anno. Ora in Cdm manteniamo la promessa”, aveva annunciato l’allora presidente del Consiglio su Twitter. Il governo approvò quindi il Dl 149 ‘Abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della
contribuzione indiretta in loro favore’, che diventò legge nel febbraio del 2014, l’ultimo giorno in carica del governo. Le cronache riportano il sì di Pd, FI, Ncd, Scelta Civica e Per l’Italia e il no di Lega Nord, Sel e Movimento 5 Stelle. 

Dalla riforma Letta le polemiche non si sono spente. E la discussione sui finanziamenti, anche di recente, ha ripreso vigore in senso inverso rispetto al passato: la richiesta è quella di tornare al finanziamento pubblico. I motivi gli stessi, trasparenza. Con la legge Letta sono possibili le erogazioni liberali e la cessione del 2Xmille ai partiti. Restano sempre i contributi ai Gruppi parlamentari da parte di Camera e Senato, cifre comunque milionarie (oltre 50mln nel 2019 tra Montecitorio e palazzo Madama). Il sistema, comunque, è cambiato e non di poco. Per orientarsi, è stato calcolato che alle elezioni politiche del 2013 ai partiti arrivò qualcosa come 170 milioni di euro in rimborsi, al netto di quelli ricevuti da Gruppi parlamentari. La costante, invece, sono sempre rimaste le polemiche.

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