Cristina Mazzotti

Cristina Mazzotti, chiesto l’ergastolo per tutti gli imputati del rapimento del 1975

Il pm Cecilia Vassena invoca il massimo della pena per Latella, Calabrò e Talia: “Per loro la vita della vittima non valeva nulla”.

Como – Si chiude con una richiesta di ergastolo per tutti gli imputati la lunga requisitoria della pm Cecilia Vassena, titolare dell’inchiesta sul rapimento e omicidio di Cristina Mazzotti, la 18enne sequestrata il 30 giugno 1975 e mai tornata a casa. Dopo quasi cinquant’anni dai fatti, il processo davanti alla Corte d’Assise di Como arriva a una svolta, con la richiesta della massima pena per i tre imputati rimasti: Demetrio Latella (70 anni), Giuseppe Calabrò (75 anni) e Antonio Talia (74 anni).

Il presunto mandante, Giuseppe Morabito, è deceduto lo scorso dicembre all’età di 80 anni, prima della fine del dibattimento.

“Cristina fu trattata come merce”: la requisitoria del pm

«Cristina Mazzotti era una ragazza vitale, una diciottenne che aveva appena finito la scuola. Stava vivendo l’estate, il periodo più bello dell’anno – ha detto la pm Vassena in aula – ma fu ammazzata in modo brutale».

Nel corso di quasi sei ore di requisitoria, la rappresentante della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano ha ricostruito nei dettagli il sequestro e la catena di responsabilità, ribadendo che l’ergastolo è l’unica pena congrua per un crimine così efferato. «Chiedo con forza che venga affermata la responsabilità penale e che tutti gli imputati siano condannati all’ergastolo», ha dichiarato.

Un sequestro rimasto impunito per decenni

Cristina venne rapita la sera del 30 giugno 1975 mentre era a bordo di una Mini Minor con due amici, Carlo Galli ed Emanuela Lusari. L’auto fu intercettata a Montano Lucino, in provincia di Como, e i tre giovani furono costretti a salire su un’altra vettura. Solo Cristina venne poi consegnata alla banda dei sequestratori, che la condusse in un nascondiglio ad Appiano Gentile.

Si trattò del primo sequestro di persona di una donna al Nord compiuto dall’Anonima Sequestri, ma anche del primo senza lieto fine. Cristina morì poco dopo la sua cattura, probabilmente a causa delle condizioni inumane di detenzione.

L’impronta che ha riaperto il caso

A riaprire il caso, a distanza di decenni, è stata un’impronta rinvenuta sull’auto usata per il sequestro e attribuita a Demetrio Latella grazie alle nuove tecnologie di analisi forense. Da lì è partito il filone investigativo che ha portato alla riapertura del fascicolo e all’attuale processo.

Per la pm Vassena, il sequestro di Cristina fu orchestrato da un sodalizio criminale spietato, per il quale la giovane era solo un “ostaggio-merce” da barattare per ottenere un riscatto. «Della vittima non importava nulla – ha detto – la sua morte era considerata una possibilità accettabile. L’importante era garantirsi il bottino».

Dalla prossima udienza, prenderanno la parola gli avvocati di parte civile e successivamente le difese. La sentenza potrebbe arrivare entro l’autunno.

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