Da decenni ormai ci sentiamo dire che siamo agli sgoccioli. Le previsioni sono sempre più infauste, ma all’informazione vera i su e giù della temperatura poco importano. C’è chi dice anche che non sia un problema reale.
Sui media italiani si parla poco di emergenza climatica. Ormai si sente parlare in continuazione di crisi climatica, perché ci si è resi conto che è la più grave emergenza della nostra epoca. Al punto che se non si risolve, perde di significato qualunque ipotesi di modello economico, sociale e d’altro tipo. E l’autentica conditio sine qua non: risolta questa, si potrà discutere di tutto e di più. Eppure per i media nazionali sembra un discorso di lana caprina. Non è un’affermazione di qualche eco guerrigliero, alla ricerca di una nuova palingenesi rivoluzionaria.
Ma è quanto emerso da un recente studio pubblicato da Greenpeace Italia, realizzato dall’Osservatorio di Pavia. La prima è un’organizzazione non governativa ambientalista e non violenta, fondata nel 1971. Il secondo è un istituto di ricerca indipendente specializzato nell’analisi dei media a salvaguardia del pluralismo sociale, culturale e politico. Ebbene, programmi televisivi di prima serata sulle reti Rai, Mediaset e La7, trattano il clima meno dell’1% della totalità delle notizie. Stesso ritornello per i programmi di approfondimento, tranne qualche rara eccezione come la trasmissione in onda su Rai3: “Indovina chi viene a cena” a cura della giornalista Sabrina Giannini.
E’ un dato preoccupante, perché nonostante lo sviluppo del web, la tv resta, ancora oggi, il principale mezzo di informazione per buona parte della popolazione. Per come siamo messi, si tratta di disinformazione allo stato puro, altroché! Lo studio, inoltre, ha confermato lo stesso andazzo sulla carta stampata, a testimoniare che il cambiamento climatico è oscurato sia dalla politica che dai media. In una democrazia la stampa avrebbe un ruolo importante, in quanto dovrebbe osservare, verificare e informare in maniera completa per garantire certezza e trasparenza e per offrire all’opinione pubblica gli strumenti per comprendere la realtà quotidiana.
Ed, invece, la disinformazione impedisce di percepire in tutta la sua complessità la grave minaccia del riscaldamento globale, che pare non essere presente nemmeno nei programmi elettorali dei partiti per le elezioni politiche del 25 settembre. D’altronde, cosa ci si poteva aspettare, se i maggiori quotidiani nazionali: Corriere della sera, La Repubblica, Il Sole 24ore, Avvenire, La Stampa, ricevono lauti finanziamenti dall’industria dei combustibili fossili, attraverso campagne pubblicitarie delle aziende inquinanti, come quelle automobilistiche, aeree e crocieristiche?
Infatti, l’emergenza climatica viene classificata come mera criticità economica. Emerge, quindi, una narrazione degli eventi in cui il problema ambientale viene disgiunto dalle responsabilità aziendali. L’amara conclusione è che sia la tv che la carta stampata stanno affrontando l’argomento in maniera poco seria e corretta. Inoltre, gli operatori dell’informazione, calpestando qualsiasi decoro e dignità professionale, offrono la loro penna al miglior offerente pubblicitario sul mercato.
C’è da segnalare che il lavoro realizzato da Greenpeace Italia è parte integrante della campagna “Stranger Green” contro il “greenwashing”, l’ecologismo di facciata delle aziende proposto dai propri uffici marketing e comunicazione. Lo studio dei media continuerà per tutto il 2022 con la diffusione dei risultati ogni quadrimestre.
Lo scopo è molto nobile e meritevole di lode: provocare un dibattito pubblico sull’esigenza di rendere il giornalismo italiano scevro da ogni costrizione esercitata dalle industrie fossili con i loro finanziamenti, in modo da dare ai cittadini un’informazione corretta e completa. Ma, come disse Gesù ai suoi discepoli: “E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli”. Nel nostro caso, potremmo aggiungere: “che un giornalista si affranchi dalla sua servitù”!