I posti letto in Italia sono meno che in Europa ma anche gli investimenti nella sanità pubblica sono in flessione mentre quelli nel resto d'Europa tengono il passo. La chiusura delle strutture ospedaliere periferiche ha determinato un calo generale della disponibilità dei ricoveri. Adesso ne paghiamo lo scotto.
ROMA – Come abbiamo affrontato l’emergenza? Con quello che avevamo. Nel 2018 l’Italia ha destinato risorse pubbliche alla sanità per un valore pari al 6,5% del Pil, una percentuale vicina alla media Ocse (6,6%) ma più bassa di quella di altri grandi Paesi europei come Germania 9,5%, Francia 9,3% e Regno Unito 7,5%. Questo dato è in flessione rispetto al 2010 quando si era attestato intorno al 7%.
Tra il 2001 e il 2019 (fatta eccezione per il 2012 e il 2015) il finanziamento del Ssn a carico dello Stato è sempre cresciuto, passando da 71,3 miliardi di euro a 114,5 miliardi di euro, con una crescita media inferiore a quella dell’inflazione.
Dunque nessun taglio, anzi. È vero però che negli ultimi 10 anni i finanziamenti per la sanità pubblica sono stati ogni anno minori rispetto a quelli programmati negli anni precedenti dalle manovre economiche dei diversi governi che si sono succeduti. Secondo un rapporto pubblicato a settembre 2019 dalla Fondazione Gimbe (che si occupa di attività di formazione e ricerca in ambito sanitario), negli ultimi 10 anni i mancati aumenti al finanziamento del SSN a carico dello Stato sono stati di circa 37 miliardi di euro. Parliamo dei posti letto, nel 2017, quando le strutture di ricovero pubbliche erano 518 e quelle private accreditate 482, in Italia c’erano 151.646 posti letto per degenza ordinaria in ospedali pubblici (2,5 ogni 1.000 abitanti) e 40.458 in quelli privati (0,7 ogni 1.000 abitanti), per un totale di oltre 192 mila posti letto (3,2 per 1.000 abitanti). In base ai dati Eurostat e Ocse, tra il 2000 e il 2017 (ultimo anno disponibile) nel nostro Paese il numero dei posti letto pro capite negli ospedali è calato di circa il 30%, arrivando appunto a 3,2 per 1.000 abitanti mentre la media dell’unione Europea si attestava a 5 ogni 1.000 abitanti. Esistono poi differenze numeriche tra regione e regione.
Secondo i dati del ministero della Salute, nel 2017, i posti letto nelle strutture pubbliche andavano dai 3,9 per 1.000 abitanti del Molise, prima in classifica, ai 2 per 1.000 abitanti della Calabria, ultima in classifica. La graduatoria cambia invece se si prendono in considerazione i posti letto nelle strutture private accreditate. Nel 2017 erano 1,1 per 1.000 abitanti nella provincia autonoma di Trento e in Campania, le due regioni prime in classifica, a 0,1 per 1.000 abitanti in Basilicata, ultima nella graduatoria. I posti letto in day-hospital nelle strutture pubbliche erano 11.672 mentre in quelle private accreditate 1.378.
Quelli in day-surgery (ricoveri per interventi chirurgici con degenza solo diurna) erano invece 6.660 nelle strutture pubbliche e 1.855 nelle strutture accreditate. I posti letto, sommando pubblico e privato, destinati alla terapia intensiva erano 5.090 tre anni fa, circa 8,42 per 100.000 abitanti. In Europa, di contro, non ci sono differenze abissali ma un tantino evidenti. Secondo i dati Eurostat più aggiornati, nel 2017, i poco più di 192 mila posti letto disponibili negli ospedali italiani corrispondevano a una media di circa 3,2 posti per 1.000 abitanti, sesto dato più basso dell’Ue, che aveva una media di 5 posti letto disponibili per 1.000 abitanti.
Al primo posto c’erano Germania (8 per 1.000), Bulgaria (7,5 per 1.000) e Austria (7,4 per 1.000). Fanalini di coda Svezia (2,2 per 1.000), Regno Unito (2,5 per 1.000) e Danimarca (2,6 per 1.000). Per i casi acuti i dati Eurostat non ci permettono di fare un confronto per quanto riguarda le statistiche specifiche sulla terapia intensiva ma solo sui posti letto destinati alla cura dei casi acuti ovvero di tutti quei casi esclusi quelli riabilitativi, di lunga degenza e i neonati vivi.
Anche in questo caso l’Italia, con 2,6 posti letto ogni 1.000 abitanti è sotto la media Ue (3,7 per1.000), con il quinto dato più basso dell’Unione. Al primo posto la Bulgaria (6,2 per 1.000), Germania (6 per 1.000) e la Lituania (5,5 per 1.000). Per quanto riguarda un confronto con il resto del mondo, possiamo usare i dati dell’organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico che raccoglie le statistiche per oltre 4o Paesi nel mondo. Nel 2017 al primo posto della classifica sui posti letto disponibili negli ospedali c’era il Giappone, con 13,1 posti ogni 1.000 abitanti, seguito dalla Corea del Sud (12,3), dalla Russia (8,1) e dalla Germania (8,0). L’Italia (con 3,2 ogni 1.000 abitanti) superava Paesi come Spagna (3,0), Stati Uniti (2,8), Regno Unito (2,5) e Canada (2,5).
Per il resto non disponiamo di un dato per le terapie intensive ma di quello per la cura dei casi in acuto. Ai primi due posti nel 2017 c’erano sempre Giappone (7,8 posti ogni 1.000 abitanti) e Corea del Sud (7,1), seguiti dalla Germania (6,0). L’Italia, con 2,6 posti ogni 1.000 abitanti superava Stati Uniti (2,4), Regno Unito (2,1) e Canada (1,9). Un’altra statistica pubblicata dall’Ocse, utile per un confronto internazionale, è l’indice di occupazione dei posti letto in ospedale per i casi acuti che rileva qual è il rapporto percentuale tra le giornate effettivamente utilizzate dai pazienti ricoverati e le giornate teoricamente disponibili in base alla portata del servizio sanitario. Nel 2017 l’Italia aveva un indice di occupazione per i casi acuti del 78,9%, contro una media Ocse del 75,2%. Per far fronte all’emergenza Covid-19, il governo sta predisponendo un piano per aumentare del 50 per cento il numero dei posti letto in terapia intensiva, che nel 2017 in Italia erano circa 5.100.
In generale il numero dei posti letto, tra strutture pubbliche e accreditate, era di oltre 192 mila, in calo del 30% rispetto al 2000 ovvero sotto la media Ue. Non è possibile però fare un confronto specifico a livello internazionale per quanto riguarda i soli letti per la terapia intensiva. Il confronto è invece possibile per quanto riguarda i ricoveri per casi acuti: qui facciamo meglio di Stati Uniti, Regno Unito e Canada, ma peggio di Paesi come Germania e Giappone. Tra il 2000 e il 2019 il finanziamento del servizio sanitario nazionale a carico dello Stato è sì aumentato ma ogni anno meno di quanto era stato programmato dalle misure economiche dei governi precedenti.