Corsa all’eolico in Sardegna: un affare per le società, una minaccia mortale per l’isola

L’assalto selvaggio delle società per la concessione degli impianti getta le basi (di cemento armato) per la distruzione del paesaggio e l’ecatombe ecologica.

Sardegna – Nei giorni scorsi, un convoglio sotto scorta trasportava nel silenzio e nell’oscurità della notte un carico di componenti giganteschi. Elementi di pale eoliche che, una volta montate, toccheranno i 200 metri di altezza, pari a due volte la ruota panoramica di Londra. Ma perché tanta segretezza? E perché i sardi, con l’ultima protesta ad Oristano, condannano fermamente queste manovre e vi si oppongono in tutti i modi? Non certo perché non credano alle fonti rinnovabili, né che ognuno debba fare la sua parte nella produzione di energia.

Quest’isola di solo un milione e mezzo di abitanti produce già energia pari a circa 12.335 GWh da varie fonti: un surplus del 40% in più di quanto consuma (8.426 GWh) e che viene esportato. Su tutto il territorio italiano, poi, sono attive sette centrali a carbone, due delle quali si trovano proprio a Fiume Santo e a Portoscuso, in Sardegna, la quale fa la sua parte anche nella produzione di energia idroelettrica. L’isola non si è mai opposta a ospitare impianti per la produzione di energia, anche se quelli presenti potrebbero già essere considerati eccessivi rispetto ad altre realtà regionali. La protesta andata in scena ad Oristano nei giorni scorsi contro l’installazione di ulteriori pale eoliche sembra però quasi un assalto a una diligenza inerme. Bande di predoni si contendono il diritto di sfruttare ancora il territorio sardo incuranti delle conseguenze.

Attualmente l’isola è testimone di una corsa forsennata di società che chiedono concessioni per impianti e parchi eolici per ben 58 GW, cioè per potenze 30 volte superiori a quello che serve per garantire il fabbisogno elettrico della Sardegna. In questo arrembaggio senza pietà, sono già stati presentati 800 progetti per energia eolica, che aumentano con un ritmo di 30/40 alla settimana. Una considerevole quota di tali progetti è presentata da società di recente costituzione, con un capitale sociale a volte di appena 10.000 euro o con capitali a cifre che non garantiscono alcuna affidabilità. Inoltre, è difficile individuarne i proprietari in quanto le società spesso hanno sede in paesi extraeuropei e sono collegate a multinazionali straniere. Sotto l’ombrello della nuova bandiera ecologica della sostenibilità, esse mirano esclusivamente al profitto.

Impressionante poi è la mappa delle nuove richieste di concessioni di TERNA Rete Elettrica Nazionale. È un assalto senza regole. Non esiste infatti un limite percentuale massimo di territorio sardo da destinare ad installazioni rinnovabili, come invece accade negli altri stati. Le pale hanno un forte impatto ambientale sul quale si glissa. La loro presenza in maniera ancora più massiccia in Sardegna, usata come serbatoio per l’energia di tutti, porterebbe a una vera e propria distruzione del paesaggio. La Soprintendenza Speciale per il PNRR è dovuta intervenire evidenziando come la realizzazione di ulteriori impianti da fonti rinnovabili sempre e principalmente in Sardegna prefigurerebbe “la sostanziale sostituzione del patrimonio culturale e del paesaggio con impianti di taglia industriale per la produzione di energia elettrica oltre il fabbisogno regionale previsto”.

Il posizionamento degli enormi basamenti di cemento armato degli aerogeneratori che li sostengono è difficilmente smaltibile e spesso vengono abbandonati in loco. Sono inoltre ancorati da cavi d’acciaio spessi diversi centimetri che rimarranno per sempre, anche se si rimuovessero le turbine eoliche. Turbine la cui vita si aggira appena intorno a 30 anni. Dopodiché rimangono le pale inservibili e non biodegradabili che finiscono nelle discariche rilasciando materiali inquinanti.

Un’enorme ruspa aprirà l’arrivo di ulteriori pale eoliche in nuovi posizionamenti e stravolgerà tutto perché diverse strade ed aree dell’isola risultano non idonee al passaggio e al trasporto di queste enormi strutture. Si procederà quindi all’esproprio di terreni, al taglio di alberi e alle eventuali rimozioni dei muretti a secco e di tutti gli elementi che disturbano il passaggio delle pale. Le concessioni di questi super-impianti variano dai 30 ai 50 anni, più le proroghe e le nuove concessioni. Questo vuol dire che non si potrà tornare indietro e il territorio rimarrà irrimediabilmente sfigurato. Vicino agli aerogeneratori, inoltre, non potranno operare mezzi aerei per spegnere i numerosi incendi, estivi e non.

Ma c’è di più. Un recente studio condotto dall’Agenzia Norvegese per la Protezione Ambientale ha evidenziato che queste strutture contengono Bisfenolo A, una sostanza chimica pericolosa. Specialmente in ambiente marino, le pale rilasciano microplastiche che inglobano il Bisfenolo A creando uno scudo che impedisce il rapido degrado della sostanza. Le particelle di microplastica finiscono nell’ecosistema, in particolare negli oceani, trasportando al loro interno il Bisfenolo A che entra nella catena alimentare. Il Bisfenolo A si sgancia dalle microplastiche per azione degli acidi digestivi, e penetra negli organismi.

L’isola dalle spiagge caraibiche sembra destinata a diventare sempre di più lo scantinato d’Italia per lo sfruttamento chimico, minerario e militare e come deposito di scorie e di rifiuti, col rischio concreto di trasformarsi in un paesaggio lunare. La pubblicità di una famosa birra sarda con l’immagine di una bottiglia abbandonata nel paesaggio recita: “Se deve finire così, non beveteci neppure”.

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