“Cold Case” di Maria Pellegrini: dopo 17 anni svolta nell’omicidio della maestra veneta

La 78enne venne soffocata in casa con un sacchetto di cellophane. Il Dna rinvenuto sul nastro adesivo per fissarlo potrebbe corrispondere a quello di un albanese già detenuto.

Padova – A quasi 17 anni dall’omicidio di Maria Pellegrini, la maestra in pensione trovata morta soffocata nella sua casa di Casalserugo (Padova) nel dicembre 2008, la Procura di Padova ha riaperto le indagini, segnando una svolta in un caso che sembrava destinato a rimanere irrisolto. Un albanese di 47 anni, attualmente detenuto per furto, è stato iscritto nel registro degli indagati per omicidio volontario. La chiave della riapertura è il DNA trovato su un nastro adesivo usato per fissare un sacchetto di cellophane attorno al volto della vittima, che potrebbe corrispondere a quello dell’indagato. La magistratura ha disposto un incidente probatorio per ulteriori analisi, affidate a esperti forensi.

Maria Pellegrini, 78enne ex maestra d’asilo in pensione, morì la notte del 10 dicembre 2008 all’interno della sua villetta al civico 48 di via Cavour, a Casalserugo, nel Padovano. Il corpo, scoperto la mattina seguente da un vicino, era riverso sul letto, con il volto coperto da un sacchetto di cellophane stretto da un nastro adesivo da pacchi che ne aveva causato il soffocamento. La scena del crimine mostrava segni di effrazione: il ladro si era introdotto dalla finestra del garage, mettendo a soqquadro la camera da letto, probabilmente in cerca di denaro o preziosi. Nessun oggetto di valore, però, sembrava essere stato sottratto.

Una ricca signora con un patrimonio che faceva gola

Maria era molto conosciuta a Casalserugo. Nonostante facesse vita riservata, tutti sapevano del suo ingente patrimonio immobiliare, stimato in circa 10 milioni di euro, frutto di una vita di risparmi e investimenti oculati. Gestiva personalmente numerosi immobili che affittava spesso a stranieri, con un approccio “deciso” che le aveva procurato più di un grattacapo e qualche inimicizia.

All’epoca, le indagini della Procura di Padova, coordinate dal PM Orietta Canova e successivamente da Luisa Rossi, si concentrarono su due piste principali: la rapina finita male e i conflitti legati alla gestione del patrimonio. Venne prelevato il DNA a una cinquantina di persone residenti a Casalserugo e Camposampiero ma fu un buco nell’acqua: non fu riscontrata alcuna compatibilità e il caso fu archiviato. Anche tra i sospettati iniziali nessuno fu mai formalmente indagato.

La riapertura delle indagini

La vicenda rimase un cold case, ma i familiari non si rassegnarono, in particolare della nipote Flavia Viel, che nel 2021 lanciò un appello tramite la trasmissione “Chi l’ha visto?” invitando chi sapeva qualcosa a farsi avanti.

La riapertura del caso è stata resa possibile dai progressi nelle tecnologie forensi. Le analisi condotte dai RIS di Parma hanno individuato una traccia di DNA sul nastro adesivo usato per fissare il sacchetto di cellophane attorno al volto di Maria Pellegrini.

Questa traccia, confrontata con la Banca dati nazionale del DNA, sembra corrispondere a quella di un albanese di 47 anni, attualmente detenuto per furto a Padova. L’uomo, pluripregiudicato noto per aver usato diversi alias in passato, era tra le persone sottoposte a prelievo di DNA nel 2008, ma all’epoca non erano emerse corrispondenze significative.

Il nuovo incidente probatorio

La Procura di Padova, sotto la guida del PM Luisa Rossi, ha richiesto un incidente probatorio per confermare la compatibilità genetica e verificare la catena di custodia dei reperti. Il GIP Claudio Marassi ha fissato un’udienza per conferire l’incarico a due esperti di fama: Ugo Ricci, dell’Ospedale Careggi di Firenze, e Carlo Previdere, dell’Unità di Medicina Legale e Scienze Forensi dell’Università di Pavia.

Gli accertamenti saranno eseguiti alla presenza dei consulenti delle parti: gli avvocati Gianni Morrone e Luana Masiero, che rappresentano i familiari della vittima, e Fabio Crea, difensore dell’indagato. Quest’ultimo ha chiesto una verifica approfondita sull’acquisizione e conservazione del DNA, per garantirne la regolarità.

Cold case e dna: Maria e gli altri

La riapertura del caso Pellegrini si inserisce in un’ondata di revisioni di cold case in Italia, rese possibili dai progressi della genetica forense. A Garlasco, il caso di Chiara Poggi (2007) è stato riaperto da poco con nuove analisi del DNA ritrovato sotto le unghie della giovane. A Cagliari, il caso di Manuela Murgia (1995) ha visto nuovi accertamenti sui vestiti della vittima alla ricerca del materiale genetico del fidanzato. C’è poi il cold case del Mostro di Udine, riaperto grazie a un mozzicone di sigaretta. Esempi che dimostrano come la genetica forense, combinata con indagini tradizionali, sia fondamentale, ma richieda anche una corretta conservazione dei reperti, un problema che ha ostacolato la riapertura di altri casi altrettanto “scottanti” come quello di Simonetta Cesaroni, assassinata in Via Poma: negli anni sono stati accusati, e poi scagionati diversi uomini – il portiere del palazzo, il giovane nipote di un condomino, l’ex fidanzato della ragazza –, ma il delitto è rimasto a tutt’oggi irrisolto.

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