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Codice rosso, la Consulta ci mette una pezza

Sbloccata dai giudici costituzionali la possibilità di riconoscere le attenuanti ad Alex Pompa, il ragazzo torinese che uccise il padre violento.

RomaPiù dilemma etico che interrogativo giuridico, quanto basta comunque per mettere in imbarazzo gli stessi giudici della Corte d’Appello di Torino, che avevano sì ribaltato la sentenza di primo grado che aveva mandato assolto Alex Pompa, il giovane che il 30 aprile 2020 a Collegno uccise il padre violento per difendere la madre, ma ritenevano comunque troppi i 14 anni che per legge dovevano essergli inflitti non avendo riconosciuto all’imputato la legittima difesa.

Il nodo stava nella rigidità del Codice Rosso, il pacchetto di norme introdotto per intervenire con misure incisive, di natura preventiva e repressiva, contro il drammatico fenomeno della violenza e degli abusi commessi nell’ambito delle relazioni familiari e affettive. Un giro di vite normativo che escludeva la possibilità di applicare sconti nei casi di omicidi in cui la vittima e l’aggressore fossero uniti da un vincolo familiare o di relazione. Fattispecie in cui rientrava il delitto commesso da Alex, ai quali i giudici avrebbero voluto però riconoscere le attenuanti, tra cui la provocazione e le attenuanti generiche. “Un caso che scuote le coscienze” aveva detto il pm Alessandro Aghemo che aveva chiesto la sua condanna in primo e in secondo grado.

La Corte Costituzionale ha corretto una norma del “Codice Rosso”

Ora i giudici della Consulta, investiti del caso, hanno ritenuto incostituzionale il divieto assoluto posto dalla norma censurata, che determinava una violazione dei principi di parità di trattamento di fronte alla legge, di proporzionalità e individualizzazione della pena sanciti dagli articoli 3 e 27 della Costituzione. La norma imponeva infatti al giudice di applicare la stessa pena (l’ergastolo o, in alternativa, la reclusione non inferiore a ventun anni) sia ai più efferati casi di femminicidio, sia a casi caratterizzati da significativi elementi che diminuiscono la colpevolezza degli imputati, e nei quali una pena così severa risulterebbe manifestamente sproporzionata.

Nel caso di Alex, il giovane era appena diciottenne quando aveva ucciso il padre in occasione di un ennesimo episodio aggressivo nei confronti propri, della madre e del fratello: grazie alla decisione della Consulta ora rischia una pena tra i 6 e i 9 anni, anziché 14. Uno sconto non indifferente, ma comunque insufficiente per chi, e sono tanti, oltre ovviamente alla madre e al fratello, continua a ritenere che la vera giustizia per Alex fosse arrivata con l’assoluzione in primo grado per legittima difesa.

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