Tra le altre stranezze le mail dal contenuto suicidario che, di contro, sarebbero state scritte dopo la morte del manager. Forse la sua morte è stata pianificata a tavolino ma qualcosa, poi, è andato storto. Dunque si è tentato in extremis di rimediare agli errori fatti da qualcuno?
Siena – Sulla morte di David Rossi, 52 anni, direttore dell’ufficio Comunicazione del Monte Paschi Siena ritrovato cadavere il 6 marzo 2013 sul selciato di vicolo Monte Pio, dopo un bel salto nel vuoto, si è detto di tutto e di più. Ma, soprattutto, si sono volute negare le evidenze presenti nel congruo fascicolo giudiziario che più di una persona avrebbe voluto archiviato per sempre. Insomma che il decesso di Rossi sia riconducibile ad un suicidio sembra ormai una drammatica burla e se la nuova inchiesta “genovese” procederà senza intoppi la strada verso la verità potrà dirsi spianata. Intanto la Procura di Genova prosegue le indagini per falso ideologico nei confronti dei pubblici ministeri che hanno indagato sulla strana morte del manager.
Tutto ruota intorno al primo sopralluogo non verbalizzato dai magistrati inquirenti nell’ufficio della vittima, verosimilmente prima dell’arrivo della Scientifica e nei messaggi che Rossi avrebbe lasciato prima di “lanciarsi” dalla finestra del suo ufficio alle 19.45 del 6 marzo 2013 per poi cadere al suolo in modo anomalo, a candela, rimanendo agonizzante per diversi minuti. Per di più sul corpo del giornalista erano state evidenziate una serie di ferite ed ecchimosi su polso, inguine, all’altezza di stomaco e fegato, incompatibili con una caduta da gesto estremo.
Decisiva la dichiarazione dell’ex comandante dei carabinieri di Siena, Pasquale Aglieco, che davanti ai membri della Commissione parlamentare d’inchiesta, a suo tempo presieduta da Pierantonio Zanettin, aveva riferito come Nicola Marini, oggi Procuratore facente funzioni a Siena, Aldo Natalini, in servizio al Massimario di Cassazione, e Antonino Nastasi, odierno Pm alla Dda di Firenze, avrebbero manipolato certe prove di cui non ci sarebbe traccia nel verbale del 7 marzo.
Marini e Natalini sono stati ascoltati, il 16 novembre scorso, dagli Aggiunti Vittorio Ranieri Miniati e Francesco Pinto alla presenza dei loro difensori presso la caserma genovese della Guardia di Finanza mentre l’interrogatorio di Nastasi è slittato in altra data. Tutti e tre, innocenti sino ad eventuale condanna definitiva, dovranno rispondere del reato di falso ideologico per la “mancata verbalizzazione della perquisizione, con annessa ispezione informatica e sequestro”, reato che si prescriverà nel settembre 2025. I tre inquirenti avrebbero spostato oggetti sulla scrivania, toccato mouse e computer, altre suppellettili, chiuso una finestra e frugato nel cestino delle cartacce poi rovesciato sulla scrivania. Tra il pattume ci sarebbero stati anche due fazzoletti sporchi di sangue che non si sarebbero più trovati perché andati distrutti.
I tre magistrati, senza utilizzare guanti, avrebbero inquinato la scena del crimine prima dell’arrivo della Polizia scientifica, i cui specialisti facevano il loro ingresso nella stanza di Rossi dopo mezzanotte:
”…I tre Pm – si legge nel capo d’imputazione – omettevano di attestare che nelle ore precedenti, e in particolare dalle 21,30 sino a circa mezzanotte del giorno precedente, avevano già fatto ingresso nella predetta stanza prima che la stessa venisse fotoripresa dal personale della polizia scientifica…”.
In quell’occasione, secondo l’ipotesi accusatoria, avrebbero“…Manipolato e spostato oggetti senza redigere alcun verbale delle operazioni compiute e senza dare atto del personale di polizia giudiziaria che insieme a loro avevano proceduto a questo sopralluogo…“.
Su video e foto “non ufficiali” realizzati quasi 2 ore dopo la caduta di Rossi e quelle “ufficiali” effettuate solo qualche ora dopo si nota che la giacca della vittima, piegata sulla spalliera della sedia, veniva poi ricomposta sullo schienale. Le stesse ante della libreria in alcune foto sono aperte, in altre ben chiuse. Ma solo una di queste foto potrebbe rappresentare concretamente la manipolazione della scena del crimine ed è quella dei tre presunti biglietti di addio di Rossi che, a detta degli inquirenti, sarebbero stati rinvenuti nel cestino ma che nelle foto ufficiali appaiono ricomposti tra le pagine di un libro.
Questo particolare è stato riferito alla Commissione dall’assistente capo della Scientifica, Francesca Romano:”…I magistrati che erano lì – dice la poliziotta – avevano un libro su cui avevano ricomposto, nell’ispezione che avevano svolto precedentemente, tre lettere probabilmente scritte dal dottor Rossi che avevano rinvenuto all’interno del cestino stesso…”.
Che cosa sapeva Rossi di cosi compromettente da rimetterci la vita?