L’aliquota fiscale per le PMI si aggira sul 50%, al contrario le multinazionali tecnologiche si avvantaggiano di un’aliquota del 36%.
Roma – Tasse: come sempre il pesce grande mangia quello piccolo! E poi si dice che i motti popolari e di antica tradizione non siano veritieri! “Il pesce grande mangia quello piccolo” è drammaticamente vero! Il “J’accuse” è stato lanciato dalla CGIA di Mestre, l’associazione sindacale delle piccole e medie imprese e ha riguardato le tasse non versate al fisco in maniera adeguata dai giganti del web, malgrado producano ricavi vertiginosi.
Nel Belpaese, le piccole e medie imprese (PMI) sopportano una tassazione pesante come un macigno, pari a 120 volte quella dei grandi gruppi della rete. Questo succede per il trasferimento dei loro utili, prodotti in Italia, in Paesi con fiscalità agevolata o presso società “offshore” con la compiacenza, forse, o la disattenzione delle autorità competenti. Di fatto, con procedure elusive o evasive, una gran parte di risorse economiche vengono sottratte all’erario. Mentre, secondo i dati della CGIA, le PMI versano annualmente ben 24,6 miliardi di imposte, le 25 multinazionali del web presenti sul suolo italico si… fermano a 206 milioni di euro!
È vero che le dimensioni delle aziende siano molto diverse e tutte insieme le PMI producono un fatturato annuo 90 volte superiore ai grandi gruppi tecnologici, è altrettanto vero che le tasse versate sono 120 volte in più. Gli autori dello studio hanno precisato, tuttavia, che la similitudine tra le due realtà imprenditoriali mostra dei limiti di metodologia scientifica. Nonostante ciò, la diffusione di sistemi elusivi è talmente palese che le grandi big tecnologiche sono privilegiate perché pagano tasse ridotte. Sul territorio nazionale sono presenti 25 grandi gruppi, suddivisi in quattro settori: e-commerce, produzione di software, servizi internet e media, trasporti e cibo a domicilio. L’aliquota fiscale per le PMI si aggira sul 50%, al contrario le multinazionali tecnologiche si avvantaggiano di un’aliquota del 36%.
Non sono solo i grandi gruppi stranieri a godere di agevolazioni fiscali. Anche i colossi nostrani non scherzano mica, forse sarà per testimoniare una concreta solidarietà di classe, chissà! Molte hanno optato per i Paesi Bassi che, nomen omen, se sono tali avranno anche una… bassa aliquota fiscale! Ed infatti, sono provvisti di una legislazione molto favorevole per le società. Si tratta di aziende dal nome altisonante: Ferrari, con la sede legale in Olanda e quella fiscale in Italia, Fiat, Ferrero, Eni, Enel, Campari, Luxottica ed altre ancora. La cosa stupefacente per i comuni mortali è la presenza di Eni ed Enel, società controllate dal Ministero dell’economia e delle finanze italiano. Spostando la sede legale all’estero per pagare meno imposte è come se sottraesse a sé stesso risorse, un po’ come se si fregasse da solo. Il problema è che a pagarne le spese sono i cittadini. Sono i tortuosi sentieri attraversati dalla politica che portano a queste decisioni.
Se è vero che questi trasferimenti sono corretti dal punto di vista fiscale e societario, nei fatti hanno diminuito la loro base imponibile da cui si traggono le tasse. Mentre le PMI, costrette dalla situazione a restare in loco, sono oberate di imposte superiori. Come sempre, “il cane morde lo straccione, quando la sorte si accanisce”. Solo una vera ed identica politica fiscale europea potrà evitare simili sotterfugi seppur a norma di legge. Già, anche lo “ius primae coctis” lo era. Si trattava del diritto riservato al signore feudale di sostituirsi al marito durante la prima notte di nozze di un servo della gleba. Chiedere a quest’ultimo: sarà stato… contento della legalità. Oltre ad essere servo, pure becco. Evviva!