Catania, bancarotta e riciclaggio per favorire il clan: 10 misure cautelari [VIDEO]

Oltre sessanta militari della Guardia di finanza in campo dalle prime ore della mattina. Nel mirino la famiglia mafiosa “Pillera-Puntina”.

Catania – Dalle prime ore di questa mattina, oltre 60 finanzieri hanno dato esecuzione in città e nella provincia a un’ordinanza con cui il Gip, su richiesta della Procura della Repubblica di Catania – Direzione Distrettuale Antimafia, ha disposto misure cautelari personali e reali nei confronti di 10 persone indagate, a vario titolo, per di bancarotta fraudolenta, riciclaggio e autoriciclaggio, aggravati dal metodo mafioso e dal fine di agevolare l’associazione mafiosa “Pillera-Puntina”.

L’operazione è stata denominata “Filo conduttore” e oltre alle misure cautelari prevede il sequestro di finanziarie e beni per un valore di 1,25 milioni di euro. L’indagine condotta dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Catania e dalla Compagnia di Acireale della Guardia di finanza, ha preso avvio dalle risultanze investigative emerse nell’ambito del fallimento a fine 2018 di una società a responsabilità limitata di Pedara, esercente l’attività di “installazione e manutenzione per impianti telefonici”.

Le investigazioni avevano portato all’applicazione di misure cautelari a carico di alcuni degli odierni indagati e, in particolare, di 4 soggetti, tutti amministratori della società, per avere distratto il compendio aziendale della fallita a beneficio di un nuovo organismo societario, con sede legale in Trecastagni (CT), riconducibile sempre a loro.

Successivamente, nel 2021, a seguito di segnalazione dell’amministratore giudiziario nominato per la gestione della società sequestrata, che evidenziava un progressivo calo delle commesse in favore della stessa, le Fiamme Gialle etnee hanno svolto ulteriori indagini che hanno evidenziato lo stesso schema di svuotamento dell’operatività aziendale, già adottato con la prima società di Pedara, a danno dell’azienda in amministrazione giudiziaria mediante il progressivo depauperamento dei pacchetti di contratti di prestazione di servizi in essere con un importante operatore economico attivo nel settore delle telecomunicazioni, dirottati in favore di due nuove realtà imprenditoriali: una S.r.l. con sede a Mascalucia (CT) e socio unico un soggetto legato da stretti vincoli parentali con la famiglia Pillera (figlio della sorella del capo clan Turi Pillera, detto “Turi Cachiti”) e una ditta individuale con sede a Misterbianco (CT), costituita ad hoc e solo formalmente rappresentata da un soggetto estraneo alla famiglia mafiosa.

Il progressivo calo di fatturato dell’impresa in amministrazione giudiziaria avrebbe determinato gravi problemi di solvibilità, al punto da condurre alla liquidazione giudiziale nell’ottobre 2023 a seguito di istanza di auto-fallimento promossa dallo stesso amministratore giudiziario su autorizzazione del locale GIP.

In merito, le ulteriori investigazioni svolte sotto la direzione della magistratura etnea, avrebbero permesso di ricostruire la galassia di società operanti nel settore delle telecomunicazioni in sub-appalto, tra cui le richiamate 4 imprese, risultate riconducibili a persone legate da vincoli di sangue e di solidarietà criminale al clan mafioso Pillera-Puntina.

Le stesse aziende sarebbero state inoltre utilizzate alla stregua di strumenti di riciclaggio per immettervi i beni e i proventi oggetto di distrazione a danno delle società poi fallite. Sarebbero stati inoltre acquisiti puntuali elementi di riscontro alle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, già esponente di spicco del clan, che avrebbero confermato la strettissima correlazione esistente tra le diverse compagini societarie susseguitesi negli affidamenti.

Sarebbe infine emerso come gli affidamenti alla società di Trecastagni in amministrazione giudiziaria non si fossero del tutto azzerati, solo per la volontà di alcuni soggetti ancora integrati nell’organico della stessa e di taluni dirigenti e lavoratori dell’operatore economico appaltante, di non dar luogo né rendere troppo “palese” all’esterno la totale estromissione dell’impresa dalle relative commesse.

Sessanta finanzieri in campo: arresti e sequestro di beni

Ciò al fine, da un lato, di evitare sospetti negli organi giudiziari e nelle forze di polizia e, dall’altro, di tentare di riacquisire il controllo diretto o indiretto della società sottoposta alla gestione dell’amministratore giudiziario, come dimostrerebbero in alcune occasioni le richieste di reintegro tra i lavoratori dipendenti di soggetti che detto amministratore giudiziario aveva estromesso perché gravati da misure cautelari, ritenuti espressione della gestione precedente. Per tale contributo, dirigenti e dipendenti delle società appaltante nonché i dipendenti dell’impresa appaltatrice poi fallita sono indagati, in concorso con gli indagati principali, per le condotte distrattive e di riciclaggio poste in essere.

Alla luce delle evidenze investigative, il Gip ha valutato dunque sussistente un grave quadro indiziario nei confronti dei 10 indagati, ritenuti responsabili a vario titolo dei reati bancarotta fraudolenta, riciclaggio e autoriciclaggio, aggravati dal metodo mafioso e dal fine di agevolare l’associazione mafiosa “Pillera-Puntina”, disponendo: la custodia cautelare in carcere nei confronti dei 4 indagati principali; gli arresti domiciliari a carico di altri 6 indagati: il legale rappresentante della ditta individuale di Misterbianco, due dipendenti della società fallita di Trecastagni, un dirigente e due dipendenti dell’operatore economico affidatario delle commesse alle società riconducibili al sodalizio criminale; il sequestro preventivo, anche per equivalente, di una somma pari a 1.250.000 euro, corrispondente al valore stimato dei lavori sottratti alla predetta impressa fallita.

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