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Caso Zuncheddu, a quando la responsabilità civile dei magistrati?

Un’inchiesta superficiale, frammentaria e non solo ha condannato l’ex pastore sardo a 33 di galera per una strage che non aveva commesso.

BURCEI (Sud Sardegna) – Chi ha chiesto scusa a Beniamino Zunccheddu per la sua ingiusta detenzione? E’ mai possibile che in questo Paese per chi si becca il carcere per colpa d’altri basti una pacca sulle spalle per chiudere la partita? E poi: sbagliano gli altri e la vittima viene risarcita con i soldi dei contribuenti? Per quanti anni ancora dovrà continuare questa farsa in nome di un’inconcepibile indipendenza delle toghe? Eppure l’inchiesta condotta a suo tempo sulle responsabilità di Zunccheddu, 59 anni di cui quasi 33 trascorsi in galera, era stata palesemente superficiale, inadeguata e frammentaria. Stessa cosa processo e giudizio.

Zuncheddu durante l’ultima udienza

Dunque perché non addossare l’imputabilità a chi l’ha avuta? Cosi come accade per qualsiasi altro mortale? E poi c’è un “supertestimone” che dopo aver puntato il dito contro Zuccheddu, accollandogli un omicidio mai commesso, ha poi ritrattato le accuse sino a dichiarare che il povero pastore non c’entrava nulla con la “Strage del Sinnai”. Anche costui la passerà liscia? Tutti colpevoli, nessun colpevole? L’ex pastore sardo, originario di Burcei, in Sardegna, è stato vittima-protagonista del più grande errore giudiziario della storia italiana. Lo sostengono i Radicali, da sempre vicini ai casi di malagiustizia, e diversi attivisti per i diritti umani. Il 27 gennaio scorso, infatti, la Corte d’Appello di Roma al termine del processo di revisione ha assolto con formula piena il pover’uomo da sempre professatosi innocente.

Zuncheddu aveva 26 anni nel gennaio 1991 quando si consumò il triplice omicidio all’interno di un ovile di Sinnai, comune in provincia di Cagliari. Un mese dopo il pastore veniva arrestato a seguito della “verità” riferita agli inquirenti dal “supertestimone” Luigi Pinna, il pastore sopravvissuto alla mattanza nonostante le gravi ferite riportate. Pinna accusò il giovane allevatore di Burcei quale assassino di Gesuino Fadda, del figlio Giuseppe e di Ignazio Pusceddu. Indagini e processo si basarono quasi esclusivamente su questa gravissima affermazione a cui fu data fede assoluta portando dritto dritto all’ergastolo Beniamino Zunccheddu, nonostante le sue ripetute dichiarazioni di non avere nulla che fare con la strage. Tutto inutile: il detenuto rimarrà dietro le sbarre per 33 lunghi anni risultando colpevole in tutti e tre i gradi di giudizio.

Una strage mai commessa. Chi pagherà per tanto dolore?

Solo nel 2017 l’avvocato Mauro Trogu veniva nominato titolare della difesa e iniziava a spulciare fra i documenti i cui fatti trascritti nelle pagine polverose rivelavano incongruenze, falsità e un congruo numero di risultanze che non combaciavano. Nel 2020 Pinna, che nel tempo aveva dato diverse versioni dei fatti, ammetteva di non aver mai visto Zuccheddu ammazzare i tre pastori e, addirittura, di non aver mai visto il volto del vero killer perché travisato da una calza di seta. Il supertestimone e sopravvissuto alla sparatoria avrebbe raccontato ai magistrati che un agente di polizia, tale Mario Uda, gli avrebbe mostrato la foto di Zuncheddu dicendogli che era proprio lui l’assassino, insistendo in questo senso per tutto il tempo dell’interrogatorio:

“Ho sbagliato ad ascoltare la persona sbagliata – ha detto Pinna – avevo paura“. Il resto l’ha fatto l’acume e la professionalità di Francesca Nanni, all’epoca procuratore generale a Cagliari: ”Chiamai l’avvocato di Zuncheddu – racconta Nanni – e gli dissi: mi ha convinto, quest’uomo è innocente ma con le prove che abbiamo non andiamo da nessuna parte…Ci voleva qualcosa di più. E allora convinsi la Procura ordinaria ad aprire un’inchiesta per cercare eventuali altri complici e mettemmo sotto controllo alcune persone. Fra gli altri anche Luigi Pinna…”.

Il resto sono le porte del carcere che si aprono ad una vita che l’ex detenuto non conosce più. Una vita che altre persone gli hanno sottratto e che nessuno potrà restituirgli:

”Ero giovane, ora sono vecchio – ha detto Beniamino con gli occhi lucidi – oggi sono poco più di un cadavere…Avrei potuto lavorare nell’azienda zootecnica di mio genero e di mia figlia, ma adesso sto male. Non so se potrò farlo più…In carcere non ho mai fatto progetti, non volevo illudermi e adesso, da uomo libero, potrei non essere più nelle condizioni di pensare al futuro”.

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