L’ex direttrice del laboratorio di genetica forense denuncia: “Nel 2021 mancavano oggetti essenziali per le analisi”. Tra questi un fermacarte in onice, possibile arma del delitto, e un portaombrelli con tracce di sangue.
Genova – Nuovi sviluppi e clamorose rivelazioni al processo per l’omicidio di Nada Cella, la giovane segretaria uccisa il 6 maggio 1996 nello studio del commercialista Marco Soracco. A quasi trent’anni dal delitto, la sparizione di alcuni reperti sequestrati all’epoca dell’omicidio getta un’ombra sull’inchiesta e riaccende i dubbi su indagini e conservazione delle prove.
A denunciarlo, riporta Tgcom, è Daniela Scimmi, ex direttrice tecnica del laboratorio di genetica forense della Polizia scientifica di Roma, sentita in aula nel corso del processo che vede imputati Anna Lucia Cecere, accusata dell’omicidio, e il commercialista Soracco, indagato per false dichiarazioni.
Il fermacarte scomparso e il set da scrivania “incompleto”
Secondo quanto dichiarato da Scimmi, quando nel 2021 venne riaperto il caso, “non ci vennero forniti tutti i reperti sequestrati nel 1996”. A mancare, in particolare, sarebbero stati alcuni oggetti del set da scrivania di Soracco, tra cui un fermacarte in onice – sospettato di essere l’arma del delitto – e un portaombrelli con tracce di sangue.
Il fermacarte, secondo la ricostruzione della Procura, era stato usato per aggredire Nada Cella subito all’ingresso dell’ufficio. In seguito fu rinvenuto in un armadietto della stanza della segretaria senza alcuna impronta. Faceva parte di un set da scrivania che Soracco avrebbe conservato fino al 2021, ma di cui oggi mancano alcuni pezzi.
“Erano stati restituiti nel 1997, quando Soracco ne fece richiesta”, ha spiegato Scimmi. “Nel 2021, quando richiedemmo nuovamente il set per rianalizzarlo, ci vennero dati solo un portapenne quadrato e un posacenere. Le scatole dei reperti, che contenevano gli altri oggetti, erano vuote”.
Dna sulla camicetta: “Tracce non identificabili”
La perizia genetica, si legge ancora su Tgcom, ha individuato tracce di Dna sulla camicetta di Nada e su una sedia, riferibili non solo alla vittima. Tuttavia, ha spiegato l’esperta, “erano di pessima qualità e non confrontabili”. In particolare, non è stato trovato il cromosoma Y, ma la scarsa qualità del campione non consente di escludere con certezza che appartenessero a un’altra donna.
“È possibile che i profili genetici siano stati inquinati dai soccorritori o da altre persone entrate sulla scena del crimine”, ha sottolineato Scimmi.
Il medico legale: “Colpita mentre era a terra”
In aula è intervenuto anche il medico legale Francesco Ventura, all’epoca specializzando e oggi incaricato dalla Procura di rianalizzare la documentazione. Secondo la sua perizia, Nada Cella venne colpita ripetutamente alla testa mentre era già a terra. “La brutalità e la ripetitività dei colpi, inferti con uno o più mezzi contundenti, sono stati la causa del decesso”, ha dichiarato Ventura.
Un processo difficile tra prove mancanti e verità da ricostruire
L’udienza ha rimesso al centro uno dei cold case più oscuri della cronaca italiana, tra prove mancanti, oggetti restituiti troppo presto e un mistero che ancora attende giustizia. La pm Gabriella Dotto punta il dito su Anna Lucia Cecere, ex insegnante e frequentatrice dello studio, già indagata e poi archiviata nel 1996, ma oggi di nuovo al centro delle accuse.