Svolta nel caso della ragazza scomparsa nel 1992 a Cesena: per il Dna Emanuel Boke, il sudafricano sospettato all’epoca, e Kwame Quist, ghanese accusato di stupro, sono la stessa persona.
Cesena – Dopo oltre 32 anni di misteri, il caso di Cristina Golinucci, la 21enne scomparsa il 1° settembre 1992 davanti al Convento dei Cappuccini di Ronta, potrebbe essere a una svolta. Il Ris dei Carabinieri di Parma ha confermato che Emanuel Boke, sudafricano ospite del convento all’epoca dei fatti, e Kwame Quist, ghanese ricercato in Francia per una serie di crimini violenti, sono la stessa persona. Il profilo genetico, estratto da un berretto sequestrato a Boke nel 1994, è risultato compatibile con quello presente nella banca dati francese, attribuito a Quist, condannato per stupro, rapina e favoreggiamento dell’immigrazione a Marsiglia nel 1998.
La scoperta, comunicata nei giorni scorsi alla Procura di Forlì, rappresenta un tassello cruciale per la famiglia di Cristina, che da anni lotta per la verità. Assistita dall’avvocato Barbara Iannuccelli, la madre Marisa Degli Angeli si prepara a depositare una nuova istanza di riapertura dell’inchiesta, archiviata per l’ennesima volta a settembre 2024. “I Ris hanno accertato che il nostro Emanuel Boke è Kwame Quist, un uomo che in Francia ha violentato altre ragazze ed è tuttora ricercato a livello internazionale. Non può essere una coincidenza che Cristina si trovasse nello stesso posto di questa bestia così violenta”, ha dichiarato Iannuccelli. “Andiamo avanti per la verità”.

Boke, all’epoca muratore ospite del convento, fu sospettato subito dopo la sparizione di Cristina, avvenuta mentre si recava a un appuntamento con il suo padre spirituale, padre Lino. La sua Fiat Cinquecento azzurra fu ritrovata nel parcheggio, ma di lei nessuna traccia. Nel 1995, arrestato per aver violentato due ragazze cesenati, confessò l’omicidio di Cristina a padre Lino, salvo poi ritrattare. Scarcerato nel 1998, sparì in Francia, dove pochi giorni dopo, sotto il nome di Kwame Quist, commise un altro stupro. Le impronte digitali avevano già suggerito un collegamento, ma il DNA dal berretto – rimasto per anni in una scatola insieme a un rullino di 87 foto – offre ora una prova definitiva.
Tra quelle immagini, sviluppate solo nel 2022 su richiesta della famiglia, una mostra Boke abbracciato a una ragazza non identificata. “Chiediamo a chi si riconoscesse in quella foto di contattarci o rivolgersi alle forze dell’ordine”, ha aggiunto Iannuccelli, lanciando un appello pubblico. La famiglia punta a rintracciare Boke/Quist, tuttora latitante, per interrogarlo e fare luce su quel giorno di settembre. “È un elemento di conferma enorme”, sottolinea l’avvocato. “Cristina meritava giustizia allora, e la merita oggi”.
Le indagini, riaperte e archiviate più volte, hanno sempre lasciato interrogativi: perché padre Lino riferì la confessione di Boke con un anno di ritardo? Cosa accadde davvero nel convento? Il match del DNA, unito alla storia criminale di Quist, riaccende i riflettori su un cold case che ha segnato Cesena. La Procura di Forlì, che aveva chiuso il fascicolo contro ignoti, potrebbe ora valutare nuovi passi, mentre Marisa Degli Angeli, fondatrice di Penelope Emilia-Romagna, non si arrende: “Voglio sapere dov’è mia figlia”. La verità, dopo decenni, sembra più vicina.