Nello stadio Teddy Kollek a Gerusalemme, gioca il Moadon Kaduregel Beitar Yerushalayim, squadra militante nella massima serie del campionato Israeliano e conosciuta con il nome di Beitar di Gerusalemme.
Tifoso: Se avessi una figlia, le permetteresti di sposare un arabo?
Speaker: Ma cosa c’entra?
Tifoso: Certe persone credono che il Beitar di Gerusalemme sia come un figlio per loro, e lo trattano di conseguenza.
(“Forever Pure”, 2016 di Maya Zinshtein)
Nello stadio Teddy Kollek a Gerusalemme, gioca il Moadon Kaduregel Beitar Yerushalayim, squadra militante nella massima serie del campionato Israeliano e conosciuta con il nome di Beitar di Gerusalemme. La squadra è molto seguita, si contano più tifosi del Beitar che di tutte le squadre del campionato. Nonostante le sei conquiste del campionato nazionale, il Beitar conta nella sua storia calcistica numerose retrocessioni nel campionato inferiore e lotte per la sopravvivenza nella massima serie.
I tifosi del Beitar nascono come affiliati al Betar, movimento giovanile del Partito revisionista sionista, precursore dell’Herut confluito nell’attuale Likud di cui il Primo Ministro di Israele Benjamin Netanyahu è leader. Come già anticipato, Israele conta più tifosi del Beitar che di tutte le altre squadre messe insieme. Soprattutto la classe operaia e i ceti meno abbienti di Gerusalemme, fanno del Beitar un’istituzione, una valvola di sfogo necessaria. Per questo, spesso, la squadra viene usata per far campagna elettorale: ministri, segretari di partito e politici frequentano lo stadio, presiedono alle feste del Beitar per accrescere i propri consensi elettorali. La politica, anche in questo caso, intacca e infetta inevitabilmente lo sport, portando sotto i riflettori gli aspetti negativi di una condizione quasi di “fede” da parte dei tifosi, in cui il calcio giocato c’entra poco o nulla.
Ciò che ha portato il Beitar sulle bocche della stampa internazionale è il radicale attaccamento, da parte della tifoseria organizzata “La Familia”, a ideali di nazionalismo israeliano e razzismo nei confronti di arabi e musulmani. La Familia nasce come una vera e propria organizzazione nel 2005, manifestando il proprio attaccamento alla squadra ed esaltando fieramente la propria identità Ebraica. Dettano le regole del tifo e come ogni curva che si rispetti segue la squadra ovunque. La violenza, i cori razzisti e l’intolleranza, dominano la mentalità del tifo organizzato, procurando spesso alla società sanzioni, denunce e sospensioni. Il loro slogan più rappresentativo è “Per sempre puri”. Puri nel senso di veri ebrei israeliani, senza contaminazioni arabe e/o musulmane. La Familia è prima di essere una tifoseria, un’organizzazione popolare schierata politicamente all’estrema destra del panorama politico israeliano. Dettano legge dentro e fuori il campo da gioco. Tra le rivali del Beitar infatti figurano squadre come il Bnei Sakhnin, squadra seguita da numerosi arabo-israeliani e l’Hapoel Tel Aviv, squadra la cui tifoseria è notoriamente filo comunista e a favore della pace tra arabi e israeliani. Cori come “Guerra! Guerra!”, “Sporchi arabi”, “Per sempre puri”, sono ripetuti continuamente durante le partite del Beitar.
Nello stesso anno di nascita de La Familia, la squadra viene acquistata dal controverso Businessman ed ex-trafficante di armi Russo, Arcadi Gaydamak. L’imprenditore non ha mai nascosto il vero scopo dell’acquisto della società. In numerose interviste ha ribadito che l’unico motivo di tale investimento, fu l’accrescimento dei consensi politici, in seguito alla sua candidatura come Sindaco di Gerusalemme. Nelle stagioni 2007-2008 e 2008-2009, grazie ad ingenti investimenti, riesce a conquistare il titolo nazionale, riportando il Beitar al successo dopo quasi 10 anni. Il suo progetto fallì miseramente: perse infatti le elezioni racimolando pochi voti. La sconfitta politica di Arcadi coincise con il lento declino calcistico del Beitar, dovuto al progressivo disinteresse del presidente nei riguardi della società, che portò ad un’inevitabile crisi di risultati. Nel 2013, nell’apice della crisi societaria, Arcadi decise di ingaggiare due calciatori Ceceni di religione musulmana. L’operazione scaturì numerose proteste violente da parte de La Familia, tra cui l’incendio doloso di una parte della sede del Beitar di Gerusalemme.
Nonostante gran parte della tifoseria si dissociò dall’atteggiamento ostile e intollerante dei tifosi più violenti, La Familia fece un comunicato in cui invitò i tifosi a non andare più allo stadio in segno di protesta. La cosa funzionò, molti tifosi seguirono le direttive del gruppo organizzato che, data la sua estrema influenza, si impose come membro fondamentale del Beitar calcio: “Il Beitar siamo noi”. A fine stagione i due calciatori ceceni, insultati, denigrati e fischiati per tutto il campionato, furono costretti ad abbandonare la squadra.
Nonostante le numerose sanzioni della FIFA e le recenti posizioni democratiche e pacifiche della nuova presidenza, il Beitar rimane una delle squadre calcistiche più inquinate di politica violenta, razzismo e islamofobia. Questi sentimenti, derivanti in primo luogo da problemi culturali, non fanno altro che uccidere la poesia calcistica e rovinare uno degli sport più amati del mondo.