Dagli Stati Uniti all’Italia esplode il business della sopravvivenza. Crescono le vendite di rifugi antiatomici, mentre la paura diventa un motore economico. Ma davvero ci salveranno?
Gli ultimi anni sono stati tra i più complicati che la storia ha deciso di… donarci. Si è iniziato con la pandemia del famigerato virus Covid-19, poi con la guerra in Ucraina e l’inasprimento di quella del Medio Oriente. Per tacere delle altre guerre sparse per il mondo e degli effetti negativi del riscaldamento globale. Dappertutto si avverte aria di destabilizzazione dell’ordine esistente, l’insicurezza e la paura sono i principali sentimenti avvertiti dalle popolazioni. Non c’è che dire: un quadro a dir poco angosciante che i cittadini, vista l’incapacità delle istituzioni di porvi rimedio, stanno cercando di prepararsi alla catastrofe.
Il New York Times, uno dei più prestigiosi quotidiani statunitensi, ha diffuso una notizia secondo cui “l’industria della paura” non è stata mai così fiorente dalla Guerra Fredda. È scoppiata una sorta di febbre per attrezzarsi di bunker antiatomici, tunnel, armi, medicinali e viveri. Se un tempo erano i miliardari che vi investivano ingenti risorse, oggi 1/3 dei cittadini americani è pronto all’apocalisse e spende circa 11 miliardi di dollari annui. Come succede sovente in economia, ad una domanda notevoli di beni, diminuiscono i costi, al punto che le maggiori aziende del settore che una volta vendevano bunker con un prezzo oscillante tra i 130mila a oltre 3 milioni di dollari, ora propongono bunker anche a 20mila dollari, prezzo che ha suscitato l’interesse della classe media.

Secondo un’indagine di NPR (National Public Radio), organizzazione indipendente non profit che comprende 1000 stazioni radio statunitensi, il mercato dei bunker è talmente in crescita che passerà da 137 milioni di dollari del 2023 a 175 milioni nel 2030, pari ad un aumento annuo del 9,85%. La tendenza ha attecchito anche in Italia e non poteva essere altrimenti, visto la facilità con cui si diffondono, nel nostro Paese, mode e tendenze provenienti da oltre oceano.
D’altronde il sentimento della paura si propaga facilmente e col web è un attimo e si supera qualunque confine. Uno studio del marzo scorso di Euromedia Research, istituto specializzato nella ricerca sociale e di mercato, ha confermato che la domanda di bunker si è fatta incessante. Dai dati è emerso che il 42,2% degli italiani ha paura di una terza guerra mondiale, percentuale che cresce all’85,4% tra i giovani. Sul web è facile trovare offerte di rifugi antiatomici e qualche azienda ha visto le richieste crescere del 200% negli ultimi 3 anni e al 20 gennaio, giorno dell’insediamento di Donald Trump alla Presidenza degli USA, del 30%.

Però non è detto che questi bunker garantiscano la sicurezza promessa. In un rapporto della FEMA (Federal Emergency Management Agency), un’agenzia del governo statunitense che svolge funzione di protezione civile, è emerso che in caso di attacco nucleare rifugiarsi ad esempio in cantina garantisce protezione per 24 ore. Nei bunker a buon mercato 72 ore. La sicurezza globale non può essere garantita da nessuno e c’è il forte rischio che il mercato sia cresciuto non per una paura reale ma per quella percepita dai cittadini su cui, aziende senza remore si sono buttate a capofitto. Anche perché, fino a questa fase storica, il mercato ha avuto il sopravvento perché non si è posto mai alcun tipo di problema etico!