I due morti ammazzati non hanno avuto giustizia a distanza di sei anni dall’omicidio. Erano stati arrestati due coniugi ma la donna è stata definitivamente assolta mentre l’uomo si è suicidato in carcere prima del processo. Lo stesso movente era apparso da subito molto labile ma la pubblica accusa aveva chiesto l’ergastolo. La Procura non ha poi impugnato il giudizio degli Ermellini.
Palermo – Rimane un cold case con un movente mai chiarito il duplice omicidio di Vincenzo Bontà, 45 anni e Giuseppe Vela, 53 anni, consumatosi il 3 marzo del 2016 in via Falsomiele nel capoluogo siciliano. L’unica imputata, Adele Velardo di 45 anni, difesa dagli avvocati Marco Clementi e Paolo Grillo, era stata assolta dalla corte d’Assise di Palermo (il Pm dottor Claudio Camilleri aveva chiesto l’ergastolo) con la vecchia formula dell’insufficienza di prove.
La stessa Procura aveva deciso poi di non impugnare in Cassazione la sentenza emessa dalla Corte d’Assise e d’Appello presieduta da Mario Fontana, dunque l’assoluzione per la Velardo diventava definitiva.
La donna era stata ritenuta responsabile, insieme al marito Carlo Gregoli di 52 anni, geometra impiegato presso i Servizi cimiteriali del Comune ed appassionato di armi, poi impiccatosi nel carcere Pagliarelli il 27 giugno 2016, del duplice assassinio di Vincenzo Bontà, imprenditore agricolo di 45 anni (genero del boss Giovanni Bontade, ucciso il 28 settembre del 1988 insieme alla moglie Francesca Citarda) e di Giuseppe Vela, 53 anni, entrambi incensurati e come pare distanti dagli ambienti malavitosi.
Ma ricordiamo i fatti. Alle 9.30 circa del 3 marzo 2016, Carlo Gregoli e la moglie Adele Velardo uscivano dalla propria abitazione e si allontanavano a bordo del loro Toyota Land Cruiser da via Falsomiele.
Alle 9.40 circa Bontà e Vela, a bordo della 500 L, imboccano la stessa via nel senso opposto di marcia. Le telecamere stradali presenti in zona, alcuni minuti più tardi, riprenderanno il Toyota seguito dalla 500 prima che le due auto escano fuori campo video. Un minuto e 43 secondi dopo una telecamera riprenderà il Toyota che si muove in retromarcia per poi imboccare una stradina laterale dove era ubicata l’abitazione dei due congiunti.
In quel brevissimo spazio di tempo i due uomini verranno crivellati di colpi e moriranno sul luogo. Alle 9.42 la medesima telecamera inquadrerà l’arrivo di un’altra auto che frenerà all’improvviso accostandosi al marciapiede per poi fare inversione di marcia e a gran velocità sparirà dalla portata dell’occhio elettronico.
Dentro quell’auto un testimone chiave del terribile fatto di sangue al processo indicherà proprio Carlo Gregoli come il killer dei due uomini caduti sotto i micidiali colpi sparati in rapida successione:
“…Dentro la vettura sentivo i colpi di arma da fuoco – ha ripetuto il teste in aula – c’era una auto tipo Suv parcheggiata…Un uomo che proveniva dal fuoristrada impugnava una pistola all’indirizzo di un uomo che gli stava di fronte…L’uomo cadeva a terra e quello armato sparava altri colpi…Effettuavo la manovra di retromarcia e fuggivo da lì…”.
Marito e moglie venivano arrestati con la grave accusa di omicidio volontario ma rimaneva assai labile il movente, come vedremo, considerando che i due avrebbero avuto soltanto contatti di buon vicinato con una delle due vittime. Va da sé che nella stessa zona, nel medesimo orario, forse approfittando della presenza dei due coniugi, qualcun altro avrebbe teso l’agguato mortale a Bontà e Vela.
Ma chi, e perché? In buona sostanza il mistero è nascosto nel brevissimo spazio temporale durante il quale è avvenuto il massacro e nella sequenza di alcuni accadimenti. La via Falsomiele era controllata da telecamere soltanto all’inizio mentre l’altro lato della strada, che finiva in parte in un terreno dismesso, non era provvista di video-controlli.
Le auto inquadrate, in rapida successione sono tre in tutto, compresa quella del testimone. I coniugi incriminati verranno registrati dagli occhi elettronici dapprima in senso opposto all’auto delle vittime mentre dopo in senso di marcia comune.
Soltanto il Toyota di Gregoli farà poi retromarcia per entrare in una viuzza laterale dove abitavano i due coniugi mentre l’auto del testimone si muoverà facendo inversione di marcia nonostante la paura si fosse impadronita dell’autista che avrebbe impiegato meno tempo nel fuggire in retromarcia. La chiave di volta rimane in un minuto di tempo e nei movimenti delle tre auto. Ma ormai sono solo supposizioni.
Lo stesso movente, sin dall’epoca delle indagine, era apparso da subito debolissimo. Il duplice omicidio sarebbe avvenuto al culmine di una lite per alcune bollette dell’acqua che registravano consumi eccessivi e che sarebbero stati contestati dalla Velardo e dal marito a Vincenzo Bontà, l’unico vero bersaglio dell’agguato criminale, che avrebbe rubato il prezioso liquido ai due coniugi.
Al termine dell’alterco, secondo l’accusa, marito e moglie avrebbero aperto il fuoco, utilizzando le armi che Gregoli deteneva legalmente. Nell’occasione veniva ucciso anche Giuseppe Vela perché testimone scomodo. La ricostruzione dell’evento delittuoso era obiettivamente fragile e con circostanze pare mai provate. Si era parlato anche di esecuzione mafiosa ma questa pista, a meno che il caso non venga riaperto, pare sia stata già valutata senza successo. Chi ha ucciso Bontà e Vela?