Stefano Bonaccini ci (ri)prova a prendere le redini del Pd e lo fa direttamente dal palco della kermesse “Energia popolare” dove scambia dolci parole con l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi che parla del passato, ma anche del futuro nel Pd. Alla sinistra serve unità, ma è difficile se proprio la Schlein, segretaria del partito, rimane in disparte.
Roma – Il Partito democratico alle prese con la propria storia cerca di entusiasmare un popolo che è stanco delle solite dinamiche e chiacchiere. Bonaccini dà la carica, mentre Schlein è fuori dai radar. In ogni caso parlare di prospettive è importante, ma solo se verranno analizzati tutti i percorsi che fino adesso hanno caratterizzato lo stesso Pd, la sinistra nel complesso, le alleanze e la voglia confrontarsi partendo da ciò che unisce, anziché da ciò che divide ed allontana.
“Noi da soli non bastiamo, agli amici di 5 Stelle e Terzo Polo, per non dire di AVS, dico che sappiamo benissimo che non possiamo imporre strategie solo perché siamo più grandi, ma sappiano anche loro che se vogliamo battere la destra, senza di noi non andreste da nessuna parte”. È il messaggio che Stefano Bonaccini lancia dal palco della kermesse “Energia popolare”, organizzata dall’area riformista alla fiera di Cesena di qualche giorno addietro.
Nessun tentativo di organizzare correnti interne, assicura il governatore emiliano romagnolo, solo un’occasione per discutere di tante idee su questa nuova fase politica. Presente anche Romano Prodi, che, nonostante il lutto per la dipartita improvvisa della moglie, ha preso la parola e sottolineato come si sia “smesso di riflettere sull’idea che vogliamo costruire e che le alleanze politiche vanno proprio costruite fondandosi sull’idea condivisa di futuro. Democrazia è partecipazione. Attorno a una idea di rinnovamento – ha sottolineato l’ex presidente del consiglio – si costruisce una necessaria alleanza. Non è il mio compito di approfondire un programma, ma deve essere un programma che affronti la storia in cui ci troviamo in una sinergia tra riformismo e radicalismo”.
Bonaccini, da parte sua, ha ringraziato Prodi per le sue parole affermando: “Ti abbiamo chiamato non solo perché sei il padre nobile del Pd e l’unico e l’ultimo che ha saputo vincere, ma perché ci hai insegnato che per vincere bisogna allargare”. Ribadendo, anche, che è “necessario recuperare errori e ritardi con un’alleanza democratica che metta in luce le contraddizioni della destra. Superando, però, le proprie contraddizioni che fino adesso sono rimaste tali”.
Cioè, in pratica, se le analisi, le opportunità perse o lasciate andare, in una unica parola “la sconfitta” non viene analizzata partendo da lontano, ogni discussione forse farà sentire migliori ed efficaci, però il risultato definitivo sarà sempre fallimentare e gli abbandoni più frequenti. L’ex presidente del Consiglio, parlando poi della questione interna del partito, ha rigirato il coltello nella piaga, aggiungendo che:
“…il riformismo è indispensabile, data la situazione italiana, ma accompagnato da una certa necessità di radicalismo, che avremmo definito “radicalismo dolce”. Insomma, il Pd ha ancora la possibilità di essere il perno di questa trasformazione. E questo obiettivo può essere raggiunto solo con uno spirito unitario che troppe volte è mancato. E non è facile riscoprire questo spirito, ma è la condizione per cui il Pd possa ritornare alla guida della nostra Italia”.
Una vera e propria dichiarazione d’amore per un debordante Pd, spostato sempre più a sinistra e vero competitor degli alleati “verdi e sinistra italiana”. Prodi ha poi concluso, il proprio intervento, sottolineando che il Pd deve ricominciare a parlare con gli italiani affrontando l’origine e la causa del declino e indicando la strada per la rinascita e che “non possiamo continuare a essere un partito rassegnato in un Paese rassegnato”.
Il fatto, forse, di cui bisogna tenere conto è che Prodi ha battuto due volte Berlusconi, ma con una alleanza arcobaleno che si è infranta il giorno successivo alla vittoria e che l’unione di più forze, totalmente differenti e litigiose l’una con l’altra, non assicura una buona e lunga governabilità. Peraltro, già sperimentata. I tempi cambiano e anche le persone.