Blitz contro la ‘Ndrangheta reggina: duro colpo alla cosca Labate, 4 arresti [I NOMI]

Operazione “Monastero”, il ROS e i Carabinieri danno esecuzione a misure cautelari per mafia. Ricostruita l’organizzazione della cosca egemone nel quartiere Gebbione: estorsioni, controllo del territorio e infiltrazioni economiche.

Reggio Calabria -Nuovo colpo alla ‘ndrangheta reggina. Nella mattinata del 13 maggio 2025, i Carabinieri del ROS, con il supporto del Comando Provinciale di Reggio Calabria e dello Squadrone Eliportato “Cacciatori Calabria”, hanno eseguito un’importante operazione antimafia contro la cosca Labate, storicamente egemone nel quartiere Gebbione di Reggio Calabria.

L’operazione “Monastero”, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia guidata dal Procuratore f.f. Giuseppe Lombardo, ha portato all’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di quattro indagati, ritenuti affiliati al sodalizio mafioso. Ecco i loro nomi:

  • Michele Labate, classe 1956 (carcere)
  • Francesco Salvatore Labate, classe 1966 (carcere)
  • Paolo Labate, classe 1985 (carcere)
  • Antonino Laganà, classe 1971 (arresti domiciliari)

L’operazione rappresenta la prosecuzione dell’indagine “Heliantus” e ha consentito di riattualizzare gli assetti interni della cosca dopo l’arresto dei fratelli maggiorenti Antonino (classe 1950) e Pietro Labate (classe 1951), quest’ultimo considerato il capo carismatico del gruppo.

Secondo quanto emerso, i vertici attuali del clan sarebbero proprio Michele e Francesco Salvatore Labate, che avrebbero continuato a esercitare un capillare controllo del territorio attraverso una rete di fiancheggiatori, incontri riservati in luoghi sicuri e una strategia di bassa esposizione investigativa.

Particolare rilievo è stato dato al ruolo di Paolo Labate, figlio di Michele, che avrebbe gestito i rapporti con gli imprenditori anche durante la detenzione del padre, favorendo l’infiltrazione della cosca in settori redditizi, tra cui la grande distribuzione alimentare.

Infine, il ruolo di Antonino Laganà sarebbe stato centrale nel garantire il collegamento operativo tra i membri della cosca: dall’invio di messaggi riservati al recupero dei proventi estorsivi, fino alla gestione dei rapporti con la comunità Rom locale, utile per il controllo della microcriminalità urbana.

Le accuse contestate vanno dall’associazione di tipo mafioso all’estorsione aggravata, e confermano la capacità della cosca Labate di mimetizzarsi nel tessuto economico e sociale del territorio, mantenendo una forte influenza criminale nonostante i precedenti arresti.


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