Il presidente Barbera: “Adesso se ne deve occupare l’ufficio centrale del referendum alla Cassazione alla quale abbiamo trasmesso il testo”.
Roma – “L’unità del popolo e della nazione postula l’unicità della rappresentanza politica nazionale. Sul piano istituzionale, questa stessa rappresentanza e la conseguenziale cura delle esigenze unitarie sono affidate esclusivamente al Parlamento e in nessun caso possono essere riferite ai consigli regionali (sentenza n. 106 del 2002)”. Così si legge nella sentenza della Corte costituzionale sull’Autonomia differenziata. È stata depositata infatti oggi la sentenza numero 192 del 2024 sulle questioni di costituzionalità relative alla legge. A rendere note le motivazioni la stessa Corte a proposito del verdetto sui ricorsi di Toscana, Puglia, Campania, Sardegna alla legge Calderoli.
Da una parte le quattro Regioni guidate dal centrosinistra schierate contro la legge Calderoli, dall’altra tre del Nord in linea con il Governo. Lo scontro sull’Autonomia differenziata è arrivato fino alla Consulta chiamata a pronunciarsi su questioni di costituzionalità sollevate dai ricorsi di Puglia, Toscana, Sardegna e Campania che hanno impugnato la legge nella sua totalità e anche con riferimento a specifiche disposizioni. La sentenza verrà depositata entro metà dicembre, quando la Cassazione deciderà sull’ammissibilità dei referendum abrogativi. La pronuncia della Consulta potrebbe avere effetti proprio sui quesiti referendari che la Cassazione stessa potrebbe riformulare oppure dichiarare superati.
Secondo i giudici costituzionali, “le pur rilevanti modifiche introdotte nel 2001 con la riforma costituzionale del Titolo V non permettono di individuare ‘una innovazione tale da equiparare pienamente tra loro i diversi soggetti istituzionali che pure tutti compongono l’ordinamento repubblicano, così da rendere omogenea la
stessa condizione giuridica di fondo dello Stato, delle Regioni e degli enti territoriali’ (sentenza n. 365 del 2007). La ricchezza di interessi e di idee di una società altamente pluralistica come quella italiana non può trovare espressione in una unica sede istituzionale, ma richiede una molteplicità di canali e di sedi in cui trovi voce e dalle quali possa ottenere delle politiche pubbliche, anche differenziate, in risposta alle domande emergenti. Perciò il regionalismo corrisponde ad un’esigenza insopprimibile della nostra società, come si è gradualmente strutturata anche grazie alla Costituzione”.
“Spetta, però, solo al Parlamento il compito di comporre la complessità del pluralismo istituzionale – rimarca la sentenza – La tutela delle esigenze unitarie, in una forma di governo che funziona secondo la logica maggioritaria, è espressione dell’indirizzo politico della maggioranza e del Governo, nel rispetto del quadro
costituzionale. Tuttavia, la sede parlamentare consente un confronto trasparente con le forze di opposizione e permette di alimentare il dibattito nella sfera pubblica, soprattutto quando si discutono questioni che riguardano la vita di tutti i cittadini. Il Parlamento deve, inoltre, tutelare le esigenze unitarie tendenzialmente stabili, che trascendono la dialettica maggioranza-opposizione”.
“Questa Corte non può esimersi dal rilevare che vi sono delle materie, cui pure si riferisce l’art. 116, terzo comma, Cost., alle quali afferiscono funzioni il cui trasferimento è, in linea di massima, difficilmente giustificabile secondo il principio di sussidiarietà. Vi sono, infatti, motivi di ordine sia giuridico che tecnico o economico, che ne precludono il trasferimento. Con riguardo a tali funzioni, l’onere di giustificare la devoluzione alla luce del principio di sussidiarietà diventa, perciò, particolarmente gravoso e complesso. Pertanto, le leggi di differenziazione che contemplassero funzioni concernenti le suddette materie potranno essere sottoposte ad uno scrutinio stretto di legittimità costituzionale”, si legge in un altro passaggio delle motivazioni della sentenza.
La Consulta – ha detto il presidente Augusto Barbera, intercettato dai cronisti alla Camera – “ha depositato la sentenza sull’autonomia, adesso se ne deve occupare l’ufficio centrale del referendum alla Cassazione alla quale abbiamo trasmesso il testo perché deve verificare se ci sono le condizioni o meno per il per referendum, per la consultazione referendaria. Questo è il primo passaggio, poi gli altri si vedrà”. Secondo lei, ci sono le condizioni perché si celebri il referendum? “Questo spetta all’ufficio centrale dirlo, sarebbe un’invasione da parte mia. È l’ufficio centrale che lo stabilirà”, risponde.
“Una sentenza che condivido e che dovrebbe eliminare la possibilità del referendum”, aveva detto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, all’indomani della pronuncia della Corte Costituzionale della legge sull’autonomia differenziata. “La sentenza, letta a spanne, è più che equilibrata. Dico a spanne perché per dare una interpretazione tecnicamente corretta occorre leggere le motivazioni che saranno sicuramente articolate e molto lunghe”, ha detto Nordio sottolineando: “è sicuro che produrrà un avanzamento probabilmente di mesi o forse anche di anni verso la soluzione definitiva. Se mi si chiede se questa pronuncia impedirà o no il referendum bisognerà leggere le motivazioni ma direi di sì: è intervenuta pesantemente su alcuni settori che sono quelli proprio tipici del referendum”.
“Adesso il Parlamento dovrà rivederla, poi la rivedrà la Cassazione, direi che a spanne, con prudenza, questa sentenza dovrebbe eliminare, almeno per ora, la possibilità del referendum”, aveva concluso Nordio. Lo stop della Consulta riguarda sette profili del testo sull’Autonomia: dai Livelli essenziali di prestazione (Lep) alle aliquote sui tributi. La decisione della Corte accoglie parzialmente i ricorsi delle quattro Regioni guidate dal centrosinistra (Campania, Puglia, Sardegna e Toscana) che hanno impugnato la legge Calderoli. I giudici hanno ritenuto “non fondata” la questione di costituzionalità dell’intera legge – punto sul quale si focalizzano tutte le reazioni di centrodestra, dove spicca il silenzio di Fratelli d’Italia – considerando invece “illegittime” alcune specifiche disposizioni. Da qui l’invito al Parlamento a “colmare i vuoti” che ne derivano.