“Questo posto non ti uccide in un giorno ma ti cambia in silenzio”: le parole dell’ex compagno di cella.
Dal 5 novembre 2024, Alberto Trentini, cooperante italiano, è rinchiuso nella prigione di El Rodeo in Venezuela. Un inferno di cui ora emerge una testimonianza diretta grazie alle parole di un uomo che ha condiviso la cella con lui e che oggi, libero e al sicuro in Svizzera, racconta l’orrore di quella detenzione.
“Ci legavano alla sedia. Un cappuccio sulla testa. Ammanettato, una pistola puntata alla testa. Una tortura psicologica continua”, racconta l’ex detenuto, la cui identità è stata tenuta riservata per ragioni di sicurezza. “Alberto Trentini una volta mi ha detto: ‘Questo posto non ti uccide in un giorno ma ti cambia in silenzio’. Aveva ragione”.
L’incontro nella prigione venezuelana
Il testimone racconta di aver incontrato Trentini per la prima volta a Boleíta, nella Direzione di controspionaggio militare, dove era stato trasferito dopo un primo periodo a El Rodeo I. “Alberto non lo conoscevo. L’ho visto arrivare a Boleíta. Due giorni dopo siamo stati trasferiti a El Rodeo e ho potuto conoscerlo meglio”.
La descrizione che emerge del cooperante italiano è quella di un uomo che ha saputo adattarsi alle durissime condizioni carcerarie con una strategia di sopravvivenza ben precisa. “Era diverso dagli altri, stava sulle sue. Parlava poco, ascoltava molto. All’inizio pensavo volesse solo farsi i fatti suoi, poi ho capito che era un modo per sopravvivere. Nei momenti più duri, e ce ne sono stati tanti, era uno di quelli che non ti voltava mai la faccia”.
La vita nell’inferno di El Rodeo
La testimonianza dell’ex compagno di cella di Alberto Trentini offre uno spaccato agghiacciante delle condizioni di vita nella prigione venezuelana. “Un inferno. Non era un carcere, era un quartiere. Ogni padiglione aveva le sue regole e le regole le faceva chi aveva le armi”, spiega l’ex detenuto. “Io ho dormito per mesi su un lenzuolo appoggiato al cemento. I topi ti passano vicino alla faccia. Ti ci abitui”.

Le condizioni igieniche sono drammatiche: “L’acqua arrivava due volte al giorno, per venti minuti. Se non eri sveglio, restavi senza”. Il controllo sui detenuti è totale e spietato: “Si hanno 45 minuti d’aria tre volte alla settimana. Per il resto non si può fare nulla. C’è soltanto la speranza di tornare a casa ma non si sa come né quando”.
La violenza è costante e serve come monito per tutti i detenuti. “Una volta un ragazzo colombiano ha provato a scappare. Lo hanno trovato dopo due ore. Lo hanno riportato dentro e lo hanno lasciato lì, davanti a noi, come un avviso”.
Le torture psicologiche e fisiche
Il sistema di controllo si basa su una pressione psicologica continua. “Le guardie ti entrano nella testa. Sono in grado di ridere con te e qualche minuto dopo di torturarti. Non le vedi mai in faccia perché hanno sempre il volto coperto ma seguono ogni tuo movimento”, racconta il testimone.
Le tecniche di intimidazione sono sistematiche: “A me, per esempio, hanno cercato spesso di estorcere confessioni false: mi legavano, incappucciavano, puntavano pistole alla testa. Sono ossessionati dai complotti terroristici anti Maduro“. Quando richiedeva di vedere il suo ambasciatore, la risposta era sempre la stessa: “Non siamo in Europa, mi dicevano, come per umiliarci”.
Alberto e il pensiero per la famiglia
Nelle rare occasioni in cui potevano parlare, Alberto Trentini mostrava sempre la sua preoccupazione per i genitori anziani in Italia. “Alberto è un grande fumatore e quando abbiamo avuto la possibilità di parlare dell’Italia spesso faceva riferimento ai suoi genitori. Una volta ha detto a un secondino: ‘In Italia c’è mia madre che non sa nemmeno se sono vivo…’. Quello gli ha riso in faccia”.

La sofferenza del cooperante per la situazione familiare era evidente: “Alberto era in ansia per loro, perché sono anziani. E lui è figlio unico”. Un messaggio di speranza arriva proprio dal compagno di cella: “Oggi a loro voglio dire di non perdere la speranza e di avere pazienza: Alberto sta bene, è forte”.
La strategia di sopravvivenza mentale
La vita nel carcere di El Rodeo impone regole ferree anche nel linguaggio. “Non parlavamo mai di uscire. L’uscita era una parola pericolosa. A El Rodeo la prima cosa che capisci è che il tempo non serve. Ti svegli col rumore, con l’odore, col caldo. Non esistono più i giorni”.
Il testimone descrive una strategia di sopravvivenza che sembra aver appreso dallo stesso Trentini: “Il carcere ti mangia solo se lo guardi in faccia. Io ho imparato a guardare solo i piedi. Quando ho rivisto il cielo da uomo libero, ho pensato che lì dentro nessuno dovrebbe restarci. Nemmeno i colpevoli”.
Arresti senza motivo e pedine di scambio
La testimonianza rivela la natura arbitraria degli arresti: “Credetemi, senza alcun motivo. Come Alberto. Siamo stati presi in quaranta, tutti stranieri. Non ci hanno dato alcuna spiegazione. Quando ci hanno portato davanti ai tribunali hanno parlato di ‘terrorismo’ e ‘cospirazione’. Abbiamo capito di essere tutti innocenti”.
La realtà è quella di un sistema che utilizza i detenuti stranieri come strumenti di pressione politica: “In fondo siamo pedine di scambio. E centrano le sanzioni contro Caracas e tutti i problemi politici del Venezuela”.
La liberazione e le trattative diplomatiche
Il processo di liberazione del testimone è avvenuto attraverso canali diplomatici ufficiali: “La trattativa è stata portata avanti dal ministero degli Affari esteri della Svizzera. Per Caracas possono decidere solo in tre: il presidente Nicolás Maduro, il ministro dell’Interno Diosdado Cabello o il ministro della Difesa Vladimir Padrino López. È stato uno di loro a portarmi nella residenza dell’ambasciatore”.
Un monito importante riguarda i tentativi di liberazione attraverso canali non ufficiali: “È stato soltanto il mio governo a fare qualcosa: ci sono tanti avvocati dentro il Paese, che chiedono soldi in cambio di informazioni ma queste strade parallele rischiano di rivelarsi fasulle”.
Nonostante l’orrore vissuto, il compagno di cella di Trentini mantiene la speranza che Alberto possa presto tornare a guardare il cielo da uomo libero. Intanto, le trattative diplomatiche continuano nel tentativo di riportare in Italia il cooperante trattenuto da mesi nell’inferno di El Rodeo.