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Addio a Raffaele Fiore, l’ultimo comandante delle Brigate Rosse

Si è spento a 71 anni l’ex leader della cellula piemontese, protagonista dell’assalto mortale in cui venne catturato Aldo Moro. Fino alla fine ha rifiutato la via del pentimento.

Torino – Si è spento a 71 anni Raffaele Fiore, storico dirigente delle Brigate Rosse e protagonista di alcuni dei più sanguinosi episodi degli anni di piombo. L’ex terrorista, che guidava la cellula piemontese dell’organizzazione armata, non ha mai abbandonato le proprie convinzioni ideologiche, rifiutando fino all’ultimo ogni forma di pentimento.

Fiore rimane nella storia nera d’Italia come uno dei quattro terroristi mascherati da militari dell’aeronautica che il 16 marzo 1978 scatenarono l’inferno in via Fani. In quell’agguato letale venne prelevato il leader democristiano Aldo Moro mentre persero la vita i cinque componenti del suo dispositivo di sicurezza.

La strage di via Fani

Nato nel capoluogo piemontese, Fiore si distinse come figura centrale nell’attacco che sconvolse l’Italia. Camuffato con la divisa dell’aviazione militare, partecipò all’assalto armato contro la berlina blindata che trasportava il presidente della Dc. Le ricostruzioni successive rivelarono un particolare inquietante: la sua arma automatica si bloccò durante la sparatoria, salvando probabilmente la vita al conducente Domenico Ricci. Fu proprio Fiore, assieme al celebre Mario Moretti, a trascinare fuori dall’abitacolo crivellato di proiettili la vittima designata del rapimento.

Raffaele Fiore

Il curriculum criminale del terrorista torinese include anche l’assassinio del cronista Carlo Casalegno, vice-responsabile del quotidiano La Stampa, ucciso nel 1977. La sua firma sanguinaria compare inoltre nell’eliminazione del legale Fulvio Croce e nell’imboscata costata la vita ai giovani agenti penitenziari Lanza e Porceddu, abbattuti davanti al penitenziario torinese nel 1978.

L’ascesa ai vertici del terrorismo rosso

La carriera terroristica di Fiore conobbe una rapida escalation. Responsabile della struttura piemontese e membro del settore logistico, nell’autunno del 1978 venne cooptato nel Comitato Esecutivo delle Brigate Rosse, il centro nevralgico dell’apparato terroristico. La sua parabola criminale si interruppe bruscamente il 19 marzo 1979, quando le forze dell’ordine lo catturarono a Torino insieme al complice Vincenzo Acella.

Il tribunale del processo Moro Uno lo condannò al carcere a vita. Diversamente da molti suoi ex compagni di lotta armata, Fiore non ha mai imboccato la strada della collaborazione con la giustizia. La scarcerazione condizionale arrivò nel 1997, con conferma definitiva dieci anni dopo.

Una vita senza rimorsi

La sua vicenda personale è stata documentata nel volume L’ultimo brigatista a firma del giornalista Aldo Grandi, dove per la prima volta l’ex terrorista ha esposto pubblicamente la propria ricostruzione degli eventi. Fino agli ultimi giorni, Fiore ha mantenuto un atteggiamento di totale chiusura verso qualsiasi forma di ripensamento critico del proprio passato.

La morte di Raffaele Fiore chiude simbolicamente un capitolo buio della storia repubblicana, quello di un uomo che ha attraversato decenni senza mai mettere in discussione le scelte che hanno insanguinato l’Italia degli anni Settanta. La sua figura resta emblematica di una generazione di terroristi che ha scelto la violenza politica come strumento di cambiamento, facendo pagare un prezzo altissimo in termini di vite umane e lacerazioni sociali.

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