Il cuoco italiano è accusato di rapina in danno del suo ex socio, un broker connazionale che da tempo vive a Bali. Durante la detenzione Di Santo riferisce di aver subito punizioni corporali e violazione dei diritti umani ma pare che le nostre autorità diplomatiche non confermino gli abusi fisici. Proseguono le ultime fasi del processo che si avvicina alla sentenza.
Roma – Si trova in galera a Bali, in Indonesia, dall’11 novembre 2021 per una rapina che non avrebbe mai commesso in danno di un broker italiano. Da 8 mesi le notizie che si hanno sul detenuto sono terribili: picchiato, torturato, costretto ad ammettere il furto per evitare altre sofferenze, e rischierebbe anche la pena capitale, nonostante nessuno abbia confermato quest’ultima, tragica possibilità.
Questa è la triste vicenda di Nicola Di Santo, 35 anni, cuoco italiano, incarcerato nelle prigioni indonesiane che non sono certo le patrie galere. Del giovane si sa pochissimo anche perché l’Indonesia non ha accordi bilaterali con l’Italia per quanto riguarda l’aspetto giudiziario dunque nessuna ipotesi di estradizione e interventi diplomatici limitati a qualche visita in carcere e alla presenza in udienza del nostro personale consolare di Bali e d’ambasciata di Giacarta che pare attestino il regolare svolgimento delle udienze e l’assenza di torture.
Ma che cosa sarebbe accaduto esattamente? Di Santo si trovava in Australia da due anni per lavoro. Nel marzo del 2020 il giovane chef decideva di recarsi in vacanza a Bali. La pandemia dilagante bloccava il cuoco nell’isola e, nell’impossibilità di ripartire per il Paese dei canguri, Di Santo avrebbe fatto società con un broker italiano, tale Principe Nerini, che gli avrebbe proposto una serie di investimenti finanziari, visto anche il particolare momento economico piuttosto propizio per le speculazioni.
Fra queste opportunità ci sarebbe stata quella di aprire una catena di ristoranti, dunque ottima occasione per il cuoco italiano di tornare ai fornelli, e di investire denaro in criptovalute, evenienza questa più favorevole per il broker che per il “socio” più esperto di gastronomia che di alta finanza.
All’inizio gli affari vanno a gonfie vele e i due “amici” ne approfittano per darsi alla bella vita. Di Santo riferisce ai genitori di non preoccuparsi perché presto potrà raggiungerli in Italia. Nel novembre del 2021 i rapporti fra i due soci si guastano. Tanto che il cuoco decide comunque di rientrare nel nostro Paese.
I suoi genitori acquistano i biglietti aerei ma, improvvisamente, i contatti telefonici e telematici con il giovane si interrompono. Dopo un paio di giorni sarà l’ambasciata italiana a Giacarta, pare su richiesta dei congiunti, ad informare la famiglia Di Santo dell’avvenuto arresto del giovane accusato di rapina in danno del suo ex socio.
Lo chef sarebbe stato ammanettato nei vicoli sporchi e fatiscenti di Kuta, un quartiere a sud di Bali, dove insistono locali e ristoranti tipici. Senza mezzi termini, fra strattoni e pugni, la polizia locale lo avrebbe prima portato al comando, per un interrogatorio stile Gestapo, e poi trasferito in una cella del locale penitenziario:
”…Nei giorni successivi il ragazzo è stato sottoposto a torture e trattamenti inumani e degradanti dalle forze di sicurezza locali – racconta l’avvocato Alessandra Ballerini, specialista in diritti umani – lo hanno massacrato per convincerlo a confessare e che potrebbe costargli la pena di morte…”.
Pare che il cuoco, stante alla denuncia sporta dal broker, si sarebbe impossessato di una grossa somma di denaro in moneta virtuale, trasferendo i soldi di Nerini sul proprio conto bancario. Per operare la transazione sembra che Di Santo, assieme ad altre tre individui, abbia rubato le chiavi di accesso ai depositi virtuali dell’ex socio facendosi rivelare, con la forza, credenziali bancarie e password.
Durante la rapina Nerini sarebbe stato picchiato con calci e pugni tanto da perdere un occhio:”… Sono innocente – fa sapere Di Santo tramite il proprio legale di fiducia – i poliziotti mi hanno massacrato di botte, mi hanno spento sigarette in ogni parte del corpo sino sul pube, mi hanno puntato la pistola alla tempia per costringermi a confessare e poi ginocchiate sullo stomaco, sui polsi e sulle gambe. Sono innocente…”.
Il 16 novembre scorso i funzionari diplomatici vanno a trovare il detenuto in carcere e consigliano di rivolgersi ad un avvocato del posto. Lo studio legale di Bali chiede e ottiene dalla famiglia del detenuto 73mila euro in due tranche per la supposta liberazione del giovane ma Di Santo rimane in galera. Per il broker italiano le cose sarebbero andate in maniera diversa.
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