Docente di filosofia denuncia presunte violenze sessuali subite trent'anni fa da due preti rimasti impuniti. Il professore parla anche di minacce di morte e intimidazioni.
TREVISO – Due preti lo avrebbero violentato trent’anni fa. Denunciati due parroci da un docente universitario spinto alla querela dalle nuove disposizioni del Vaticano sulla pedofilia. Fanno quadrato intorno ai due religiosi le autorità ecclesiastiche che rivendicano sia fatta chiara luce sulle gravi accuse contestando al professore la denuncia tardiva. Gianbruno Cecchin, 48 anni, ex assessore alla Cultura nella sua città natale, Cittadella, in provincia di Padova, ha deciso di denunciare i presunti abusi sessuali di cui sarebbe rimasto vittima quando frequentava il seminario della diocesi della Marca a Treviso.
Oltre all’atto giudiziario, che pare dovrà essere depositato in procura al più presto, il professore di Filosofia ha scritto una lettera indirizzata al vescovo di Treviso, monsignor Michele Tomasi, in subordine a Papa Francesco, al presidente della Cei Gualtiero Bassetti, al prefetto della Congregazione per il clero Beniamino Stella e ai due vescovi emeriti di Treviso, Gianfranco Agostino Gardin e Paolo Magnani. Cecchin fa anche nomi e cognomi dei due presunti pedofili: don P.C. parroco a San Donà di Piave e don L.B. parroco a San Martino di Lupari:
”… Nel 1991 ho subito abusi sessuali continui oltre a costrizioni, vessazioni psicologiche e minacce – racconta il professor Cecchin – quando non ne ho potuto più sono fuggito dal seminario per chiedere aiuto al vicario generale, monsignor Angelo Daniel, oggi vescovo emerito di Chioggia…”.
La Diocesi di Treviso avrebbe confermato le dichiarazioni del querelante fissando un appuntamento chiarificatore ma Cecchin avrebbe declinato l’incontro:
”…Ho trovato anch’io la forza dopo tanti anni di denunciare gli abusi sessuali – aggiunge il docente universitario – oltre alle umiliazioni e le gravi vessazioni che ho subito durante l’anno di seminario. La mia vicenda è simile a quella di tanti ragazzi vissuti all’ombra del campanile. All’età di 8 anni ho iniziato a fare il chierichetto, a 15 anni l’animatore nella mia parrocchia frequentando poi i gruppi di Azione cattolica. A 18 anni ho aderito al gruppo Diaspora perché sentivo in me una sorta di chiamata a diventare sacerdote. L’anno successivo sono entrato in comunità vocazionale dove ho conosciuto molti preti. Ero un ragazzo normale, pieno di vita e di sogni. Volevo fare un’esperienza forte per capire meglio la mia vocazione… Ma è stato proprio lì dentro, nelle maledette mura del seminario, altro luogo satanico, che è avvenuto quello che mai avrei pensato mi succedesse… Una sera stanco e sfinito di essere maltrattato e abusato sessualmente e non solo, sono fuggito dal seminario vagando per la città di Treviso in balia dei miei dolori, delle mie angosce, delle mie atroci sofferenze e pregno delle mie ferite lancinanti che sanguinavano. Ricordo di essermi seduto sfinito in una panchina e poi di aver deciso di suonare alla porta del vescovo che mi venne ad aprire la porta chiedendomi che cosa volessi…Non gli risposi nemmeno, lo scansai e salì in fretta quelle scale cercando di parlare con don Angelo, vicario generale, il quale mi accolse da padre con un abbraccio e mi chiese che cosa avessi e per quale motivo lo stessi cercando e per quale motivo stessi piangendo in modo così copioso. Nonostante avessi gli occhi gonfi di lacrime non ebbi il coraggio di raccontargli la verità. Gli dissi una bugia, che ero stanco, che volevo uscire dal seminario…”.
Da qui in poi Cecchin racconta, per filo e per segno, i rapporti sessuali e le angherie subìte e messe in piazza con giornali e tv oltre che con la missiva destinata alle autorità ecclesiastiche centrali e periferiche. L’insegnante universitario avrebbe rincarato la dose con altre accuse
:”… Ho trovato il coraggio soprattutto perché questi due loschi figuri continuano ad essere sacerdoti – conclude Cecchin – sono stato spesso minacciato di morte da questi preti che hanno abusato sessualmente di me e che ancora oggi mi scrivono o mi fanno arrivare dei messaggi minatori del tipo: se parli sei morto… Non posso più vivere nel terrore…”.
La riposta ufficiale delle autorità ecclesiastiche locali non si è fatta attendere:
”…La Diocesi di Treviso è impegnata nella lotta agli abusi nella Chiesa – ha risposto con una nota il vicario monsignor Adriano Cevelotto – nel rispetto dovuto anche alle persone e alle istituzioni accusate, che hanno diritto di fare i passi necessari per difendersi e tutelare la propria onorabilità. È con dolore ma anche con serenità che stiamo procedendo per valutare i passi da fare ribadendo la volontà di chiarezza, trasparenza e verità. Esprimiamo la nostra fiducia nei confronti dei due sacerdoti coinvolti e del loro lavoro…”.
Altri 150 sacerdoti hanno scritto a Papa Francesco difendendo a spada tratta i due loro colleghi, a loro dire calunniati dal docente di Filosofia:
”… Alcuni di noi hanno vissuto in seminario insieme alla persona che ora, inspiegabilmente, sta lanciando gravi accuse contro don Paolo e don Livio – scrivono i parroci e diaconi nella missiva destinata alla Santa Sede – l’esperienza formativa che abbiamo vissuto, a stretto contatto con gli educatori di cui si parla, è stata caratterizzata da profondo rispetto e ci sentiamo di testimoniare che esiste un’altra storia: a loro va tutta la nostra stima e fiducia… La vita che abbiamo trascorso in seminario, in particolare per quanti di noi sono stati nella comunità Vocazionale, è stata sempre caratterizzata da uno stile molto familiare, sia per i tanti momenti comunitari che per la disposizione degli spazi. Qualunque strana situazione difficilmente sarebbe potuta rimanere nascosta. Abbiamo vissuto in un ambiente sereno dove c’era fiducia tra di noi e verso gli educatori; comprendevamo, anche senza dircelo, quali erano le normali difficoltà che ciascuno stava vivendo nel suo cammino vocazionale…Sentiamo di poter interpretare il pensiero di molti nell’esprimere a don Paolo e a don Livio tutta la nostra stima e fiducia; siamo solidali con il loro dolore e fiduciosi che la limpidezza della loro vita e del loro ministero possa portare a una rapida chiarificazione dei fatti…”.
In molti attendono il seguito giudiziario della vicenda che potrebbe avere luogo quando il professore Cecchin depositerà in cancelleria penale la sua denuncia, qualora non l’abbia già fatto, nel frattempo. Le lettere aperte, da sole, non si trasformano in archiviazioni né in rinvii a giudizio. Men che meno in condanne.