Marciamo verso la guerra

La pace è solo una parola sempre più obsoleta: ultimi Paesi in graduatoria sono Ucraina, Russia e Sudan insieme a Congo, Yemen, Afghanistan e Siria. L’Italia al 30mo posto.

Negli ultimi due decenni i conflitti armati si sono impennati. Erich Fromm, noto psicoanalista del secolo scorso, in un suo famoso saggio dall’eloquente titolo “Anatomia della distruttività umana” svolse un’indagine globale sulla violenza umana dalle origini fino all’età contemporanea. Servendosi anche di studi di altre discipline, l’autore si propose di liberare il concetto di “distruttività” da quei fondamenti (naturali o sociali) che le principali scuole psicologiche ritenevano assoluti.

Fromm, di contro, intendeva anche mostrare come vi siano fatti culturali, convenzionali, politici e più genericamente storico-sociali a condizionare i cosiddetti “istinti sadici” dell’uomo. Tuttavia le pulsioni a sottomettere, torturare e guerreggiare sembrano insiti nella natura umana. Altrimenti è inspiegabile come al mondo, da quando l’uomo ha deciso di poggiare i piedi sulla Terra, non ci sia mai stata una pace completa. Poteva pure restarsene negli oscuri anfratti dell’universo, invece di apparire al mondo!

Negli ultimi 2 decenni i conflitti armati hanno raggiunto cifre enormi. Ben 106 Paesi hanno attuato una politica di militarizzazione, mentre i rapporti diplomatici non sono mai caduti così in basso come negli ultimi 50 anni. Questi temi sono trattati dall’ “Institute for Ecomics and Peace” (IEP), un Centro Studi sulla pace come aspetto misurabile del benessere umano e del progresso sociale, sviluppando indicatori per quantificarne il valore economico e i fattori che la generano, attraverso indici come il “Global Peace Index” (GPI).

Si tratta di un rapporto annuale che classifica 163 Paesi e territori in base al loro livello di pace, misurando sicurezza, conflitti interni e internazionali e militarizzazione, usando 23 indicatori per valutare quanto un paese sia pacifico e sicuro, con punteggi più bassi che indicano maggiore pace. Gli indicatori misurano vari fattori: Sicurezza e criminalità, Conflitti interni e internazionali, Militarizzazione e Stabilità politica.

Si investe sempre di più in armamenti. La pace rimane soltanto una parola

In sostanza il GPI è uno strumento chiave per capire lo stato della pace nel mondo, mostrando quali nazioni sono più sicure e dove i conflitti sono più diffusi. Il report esamina anche il livello di inasprimento dei conflitti, la stima dei rischi e l’influsso economico della violenza. Secondo il report il trend più evidente riguarda il peggioramento dei rapporti tra Stati confinanti. Inoltre dalla crisi del 2008 sono calati i rapporti globali nei settori economico, commerciale e diplomatico.

Inoltre gli Stati dotati di armi nucleari hanno incrementato il proprio arsenale o tenuto costante e hanno intensificato l’uso delle tecnologie avanzate a scopi militari. Per il diciassettesimo anno consecutivo, l’Islanda ha occupato il primo posto, come Stato più pacifico al mondo. Gli ultimi Paesi sono Ucraina, Russia e Sudan in compagnia di Congo, Yemen, Afghanistan e Siria. L’Italia si è classificata al trentesimo posto, guadagnando una posizione rispetto all’anno scorso.

Non bisogna fare salti di gioia, in quanto 8 tra i 10 Paesi produttori e, quindi, esportatori di armi su base pro-capite, oltre al nostro Paese, sono Francia, Norvegia, Svezia, Germania, Paesi Bassi. Ossia democrazie occidentali appartenenti alla “culla” della civiltà europea. Talmente civili che la democrazia si esporta…con le armi. Elementare Watson!