David Rossi, cronistoria di un caso irrisolto

La Commissione parlamentare ordina al RIS analisi antropometriche sulla figura misteriosa del vicolo.

Siena – A quasi dodici anni dalla morte di David Rossi, capo della comunicazione del Monte dei Paschi di Siena, il caso continua a generare interrogativi e nuovi sviluppi investigativi. Le recenti audizioni della Commissione parlamentare d’inchiesta, presieduta dal deputato Gianluca Vinci, hanno portato a quella che viene considerata una possibile svolta: l’ipotesi di identificazione dell’uomo ripreso dalle telecamere di sorveglianza nel vicolo Monte Pio la sera del 6 marzo 2013.

David Rossi, nato a Siena il 2 giugno 1961, morì a seguito di un trauma conseguente alla caduta dalla finestra del proprio ufficio a Rocca Salimbeni, sede storica del Monte dei Paschi di Siena. La tragedia avvenne in un momento di gravissima crisi per la banca senese, coinvolta nello scandalo legato all’acquisizione di Banca Antonveneta.

La stanza da cui è precipitato David Rossi

Il 19 febbraio 2013, poche settimane prima della sua morte, la Guardia di Finanza aveva perquisito il suo ufficio e la sua abitazione, oltre a quelli dell’ex presidente Giuseppe Mussari e dell’ex direttore generale Antonio Vigni. Rossi, tuttavia, non risultava formalmente indagato.

Fin dall’inizio, la vicenda ha presentato elementi che hanno alimentato dubbi e sospetti. I video delle telecamere di sorveglianza mostrano che alcune persone si avvicinarono a Rossi quando era ancora in vita, per poi allontanarsi poco dopo, senza prestargli soccorso. Una di queste figure è rimasta non identificata per oltre un decennio.

Le indagini della Procura di Siena si sono concluse per due volte con l’archiviazione. Suicidio, la tesi ufficiale, anche sulla base del ritrovamento di biglietti d’addio e della presenza di segni compatibili con atti autolesivi sui polsi di Rossi. Nonostante ciò, numerosi dettagli hanno continuato a suscitare perplessità nell’opinione pubblica e tra i consulenti della famiglia.

Un recente elemento finito al centro dell’attenzione della Commissione parlamentare riguarda l’orologio di Rossi. Un nuovo esame delle immagini video della caduta, condotto dal RIS e illustrato dal tenente colonnello Adolfo Gregori, avrebbe evidenziato che al momento della caduta l’orologio non si trovava più al polso e risultava già separato tra cassa e cinturino. Secondo quanto emerso in sede istruttoria, l’orologio sarebbe stato lanciato dalla finestra circa venti minuti dopo la caduta, circostanza che rappresenta uno dei punti più controversi dell’intera vicenda.

La perquisizione nella stanza di Rossi

Durante un’audizione, una testimone ha sostenuto che una delle figure affacciatesi nel vicolo subito dopo la caduta somiglierebbe a Francesco Giusti, dipendente MPS ed ex esponente politico locale. Quest’ultimo ha respinto con fermezza ogni ipotesi di coinvolgimento, definendo tali affermazioni prive di fondamento e annunciando eventuali azioni legali. La Commissione ha disposto accertamenti tecnici, prevedendo rilievi antropometrici e il confronto della sagoma con le immagini dei filmati.

Ulteriori interrogativi sono emersi grazie a un’inchiesta televisiva che ha ipotizzato possibili collegamenti tra la morte di Rossi e il territorio mantovano. Al centro dell’attenzione vi sarebbe il numero 4099009, inizialmente interpretato come una semplice utenza telefonica, ma che potrebbe invece riferirsi a un certificato di deposito al portatore, strumento in passato utilizzato in contesti illeciti per la gestione di fondi opachi. Tale certificato risulterebbe collegato a una filiale bancaria situata a Viadana.

Negli anni successivi, quella stessa area è stata interessata da importanti inchieste antimafia. In particolare, è emerso che presso una filiale locale sarebbe stato movimentato un conto attraverso prestanome riconducibili ad ambienti della criminalità organizzata. Rossi, nel frattempo, era stato nominato vicepresidente della Fondazione Palazzo Te di Mantova e gestiva il fondo sponsorizzazioni di MPS, con un budget stimato in decine di milioni di euro l’anno. Alcune testimonianze riferiscono di frequenti suoi viaggi a Viadana e della presenza costante di una valigetta durante le riunioni, dettaglio che resta avvolto nell’ambiguità.

Un ulteriore elemento è emerso nell’ambito delle indagini della Procura di Catanzaro sull’operazione “Rinascita Scott”. Nelle intercettazioni acquisite agli atti, l’ex senatore Giancarlo Pittelli avrebbe espresso forti dubbi sulla tesi del suicidio, lasciando intendere che dietro la morte di Rossi potesse esserci altro. Pittelli, in un procedimento distinto, è stato condannato in primo grado per reati legati alla criminalità organizzata ed è stato ascoltato dalla Commissione per chiarire il senso delle sue dichiarazioni.

L’11 marzo 2021 la Camera dei Deputati ha istituito una Commissione parlamentare di inchiesta sul caso, con il compito di ricostruire in modo puntuale i fatti, le cause e le eventuali responsabilità di terzi. Il lavoro della Commissione sta portando all’attenzione pubblica nuove incongruenze, perizie tecniche e scenari investigativi che, fino a pochi anni fa, non erano stati esplorati in profondità.

Secondo quanto riferito, il presidente della Commissione avrebbe trasmesso atti alla Direzione Distrettuale Antimafia, segno che alcune piste investigative vengono considerate meritevoli di particolare attenzione.

Nei giorni precedenti alla morte, Rossi aveva inviato una mail all’allora amministratore delegato Fabrizio Viola con oggetto “help”. Nel messaggio scriveva parole che lasciavano trasparire un forte stato di urgenza e preoccupazione. Quella comunicazione, rimasta senza risposta immediata, rappresenta ancora oggi uno dei punti più citati da chi ritiene incompleta la ricostruzione ufficiale.

La famiglia di David Rossi non ha mai accettato la versione del suicidio. Secondo i loro sospetti, Rossi sarebbe venuto a conoscenza di presunti traffici illeciti tali da renderlo una figura scomoda. Ipotesi, queste, che non hanno mai trovato conferma definitiva in sede giudiziaria, ma che continuano ad alimentare il dibattito.

Nel 2013 la vedova, Antonella Tognazzi, fu coinvolta in un procedimento per violazione della privacy insieme a un giornalista. Il processo si concluse nel 2018 con un’assoluzione piena e con una sentenza che criticò duramente l’iniziativa giudiziaria.

A distanza di quasi dodici anni, il caso David Rossi resta uno dei misteri più complessi della cronaca italiana. Le audizioni parlamentari, le nuove analisi tecniche e le possibili connessioni con contesti più ampi continuano a tenere aperta una ferita che non si è mai rimarginata.

La speranza, condivisa da molti, è che gli accertamenti in corso possano finalmente contribuire a fare chiarezza su quanto accadde realmente quella sera a Rocca Salimbeni, restituendo verità e dignità a una vicenda che da troppo tempo vive in una zona d’ombra.