Cold case con assassino, senza cadavere

Gratien Alabi sconta la sua pena per omicidio a Rebibbia in attesa dello stato laicale dalla Santa Sede. Soltanto allora rivelerà ciò che sino ad oggi ha taciuto.

Badia Tedalda (Ar) – Guerrina Piscaglia, 50 anni, era una casalinga che si aspettava di più dal matrimonio. Quel di più lo avrebbe trovato in Gratien Alabi, frate congolese di 40 anni all’epoca dei fatti, viceparroco di Ca’ Raffaello, che aveva stravolto il quieto vivere, anche religioso, della minuscola frazione di Badia Tedalda arroccata sull’Appennino tosco-emiliano, in provincia di Arezzo. La relazione sentimentale fra i due era iniziata dopo alcuni mesi che il prete si era stabilito nella piccola canonica adiacente all’unica chiesa del vecchio borgo composto da poche case e qualche stalla con fienile.

Guerrina non era l’unica donna del paese che frequentava padre Graziano ma questo particolare non è stato mai vagliato come si sarebbe dovuto. Certo è che la Piscaglia si era innamorata dell’intraprendente sacerdote congolese che, in breve tempo, aveva aperto le porte della parrocchia ad un sempre crescente numero di giovani attirati dal canto e dal ballo che avevano sostituito la messa tradizionale. I due si frequentavano assiduamente e spesso Guerrina ospitava Graziano ed i suoi colleghi conterranei in casa propria dove assieme al marito Mirko Alessandrini organizzavano cene e bevute che duravano sino a tarda notte.

Ca’ Raffaello, frazione di Badia Tedalda

Insomma un’allegra brigata poco tollerata dai compaesani, più avvezzi al silenzio ed ai bigottismi di paese. Guerrina, ad un certo punto, perde la testa per don Graziano e lo tempesta di attenzioni e messaggi per via telefonica. I toni degli sms, spesso, erano espliciti e la loro relazione adulterina, ormai, era sulla bocca di tutti. La donna, però, vittima di un sentimento morboso, non nascondeva le sue emozioni e per lei non c’erano altri che Graziano nella sua vita, sfidando il giudizio negativo dei suoi vicini di casa e, in specie, delle donne che non avevano avuto le stesse “attenzioni” da parte dell’aitante frate congolese: ”Vieni a pranzo, ti cucino il coniglio e facciamo l’amore – scriveva Guerrina al “suo” Graziano – alzando sempre di più il tiro e, oramai, senza più pudore.

A questo punto il sacerdote iniziava a tirarsi indietro temendo uno scandalo. Se la relazione, già di dominio pubblico, fosse arrivata alle non lontane orecchie della Diocesi le cose si sarebbero messe male e per l’intraprendente don poteva scattare il trasferimento immediato. Dunque perché rischiare? Prima o poi Guerrina se ne sarebbe fatta una ragione ma cosi non è stato. La donna, infatti, non voleva saperne di spezzare quel rapporto malato. Non intendeva affatto perdere quell’uomo che, per lei, rappresentava un futuro diverso da quello che le si prospettava a Ca’ Raffaello dove la vita scorreva lenta e senza particolari emozioni.

Guerrina Piscaglia e Mirko Alessandrini

Graziano però non ne vuole sapere e non perde occasione per allontanarsi da Guerrina. La donna allora ricorre ad uno stratagemma con il quale avrebbe potuto costringere il “suo” uomo a non abbandonarla: simulare una gravidanza. Detto, fatto. La casalinga informa il viceparroco del suo “immaginario stato interessante” ma Graziano rimane fermo sulle sue decisioni senza mostrare più un briciolo di tenerezza, di comprensione, di almeno paventata responsabilità.

A questo punto, secondo l’accusa, sarebbe scattata in padre Graziano la determinazione di eliminare Guerrina. Già perché la donna non aveva nessuna intenzione di demordere ed ogni occasione era buona pur di tornare alla carica. A questo punto il sacerdote decideva di sbarazzarsi di Guerrina? Lo avrebbe fatto da solo dunque l’assassino in tre gradi di giudizio, non si sarebbe avvalso della complicità di altri? E’ stato proprio lui l’esecutore materiale dell’omicidio? Per la giustizia don Graziano è un assassino che avrebbe agito con le proprie mani per evitare uno scandalo. Situazione che avrebbe avuto per lui conseguenze serie come quella, probabilmente, di essere “congedato” dall’ordine sacerdotale.

La parrocchia di Ca’ Raffaello

Certo è che ammazzando Guerrina le conseguenze non sono state da meno, attesa la prima balorda strategia difensiva a livello personale ed i numerosi errori commessi in seguito. Se a questo aggiungiamo carenze investigative, assenza del cadavere e le numerosissime persone che sanno e non parlano, il delitto rimane ad oggi poco chiaro. Anzi piuttosto nebuloso specie per quanto attiene le prove a carico del condannato. Per farcene un quadro più nitido abbiamo incontrato nel suo studio di Rieti, l’avvocato Riziero Angeletti, difensore di Alabi in seconda battuta:

Il dato principale che emerge riguarda una verità che non rappresenta la realtà dei fatti – dice Angeletti – È stato attribuito ad Alabi un omicidio che non ha commesso. È mancato l’accertamento di fatti fondamentali che hanno eluso l’approfondimento di figure del luogo che avrebbero meritato una più attenta verifica storica, cosa che è mancata assolutamente. E’ stata attribuita valenza processuale ad elementi che oggi la Suprema Corte di Cassazione eliminerebbe senza ombra di dubbio: mi riferisco alla messaggistica attribuita alla paternità di padre Graziano, messaggistica che ha costituito fondamentalmente la prova d’accusa e che gli Ermellini, oggi, ritengono inutilizzabile per come è stata estrapolata. Sotto il profilo della verifica locale posso dire di essermi trovato davanti un contesto topografico che ha mantenuto una nebulosità che nessuno è riuscito ad eliminare, sono mancati accertamenti sin dall’inizio come la verifica delle telecamere stradali e private, è mancato l’approfondimento su certi soggetti che secondo me conoscevano la reale evoluzione dei fatti, sono state valorizzate soltanto quelle vicende, quei fatti che conducevano ad una qualche responsabilità di padre Alabi che rimane il colpevole “pitturato”, perfetto, che cala alla perfezione in questa vicenda. Poi c’è la personalità del frate che ben si predispone a questo tipo di imputazioni perché si trova in un territorio bigotto dal punto di vista sociale e religioso portando una “novella” nell’ambito religioso. Per la prima volta le messe di cantavano e si ballavano, erano aumentate le presenze in chiesa dei giovani, cosa non facile in un ambiente del genere e tanto altro. Ma questo non andava bene al sistema conservatore del luogo che sino a quel momento aveva predominato e questo non ha deposto favorevolmente nei riguardi di padre Graziano…”.

Gratien Alabi a processo

Secondo i giudici il monaco, dopo l’omicidio e l’occultamento del cadavere, avrebbe iniziato da subito a depistare con un primo messaggio dal contenuto improbabile che il frate voleva indirizzare, tramite il cellulare della vittima, alla catechista del paese: ”Dite a mio marito che sono scappata con il mio moroso marocchino”. La persona di cui trattasi esiste davvero e non era altri che un venditore ambulante maghrebino che Guerrina più volte aveva fatto entrare in casa sua prima della sparizione. Peccato che quel messaggio, per un mero errore di Alabi con la rubrica del cellulare, giunse a padre Okeke, un confratello belga che Guerrina pare non conoscesse, il cui numero di telefono era nel possesso esclusivo di Alabi che, per l’accusa, utilizzava il telefonino della vittima a cui l’avrebbe sottratto subito dopo l’omicidio.  

Anche i carabinieri, per tre mesi, considerarono la scomparsa di Guerrina una fuga volontaria, evidentemente prendendo un granchio colossale per una donna con diversi problemi psicologici, dal carattere fragile, e comunque madre di un figlio a cui era molto affezionata. E poi dove sarebbe fuggita? Da sola o con qualcun altro? E perché? Sulle prime anche il marito Mirko Alessandrini avrebbe avuto questo dubbio ma poi avrebbe più volte sollecitato i militari del luogo per attivare le ricerche lungo un territorio particolarmente impervio e dai mille anfratti dove, in pratica, risulta particolarmente difficile trovare chiunque. Ricerche tardive e per nulla eseguite su vasto raggio hanno dato un vantaggio enorme a chi ha ucciso e nascosto Guerrina:

L’avvocato Riziero Angeletti

Ricerche a parte c’è da dire un’altra cosa – aggiunge il noto penalista reatino – padre Graziano non ha potuto far fronte economicamente alle esigenze di una difesa totale e complessiva abbozzando una linea difensiva, antecedente al mio intervento, secondo me risultata anche sfavorevole asserendo che, nell’ambito di una confessione, avrebbe ricevuto inquietanti rivelazioni del cosiddetto zio Francesco e della stessa Gerrina Piscaglia, successivamente alla sua scomparsa. Questo è stato solo un tentativo autodifensivo sbagliato ma comunque non dimostrativo della propria responsabilità. Poi ci sono state diverse figure totalmente ignorate… Sulla scena del crimine c’erano per lo meno altre due persone perché se è vero ciò che dicono le sentenze di primo e secondo grado che i fatti si sarebbero verificati all’esterno della chiesa dove dimorava padre Graziano e che lo stesso avrebbe condotto dentro la sua abitazione Guerrina Piscaglia, all’interno di questa vi erano almeno altri due suoi colleghi ai quali non è stato mai chiesto nulla e che per altro si sono allontanati dal territorio e non sono stati più cercati… Non è stato approfondito nulla. Sembra molto strano che all’interno dell’abitazione di Alabi si sia verificato un fatto omicidiario di questo tipo, con modalità anche cruente, e chi era all’interno della canonica non avrebbe percepito alcunché… Questo è un dato importantissimo… Insomma era tutto un conciliabolo amicale… Non sono stati approfonditi aspetti esistenziali di quella comunità…Non dimentichiamo che spesso gli integralismi religiosi, a prescindere che siano cristiani o meno, sono sempre pericolosissimi e sovente le reazioni alle impostazioni culturali e religiose di diversa natura conducono gli integralisti ad azioni che sono impensabili ed inimmaginabili …Anche questo ambito non è stato coltivato dal punto di vista investigativo e processuale…”.

Insomma ad Alabi piacevano le donne, a tal punto da attribuirgli relazioni sentimentali con ragazze avvenenti che il religioso non avrebbe mai conosciuto. Mentre non si sarebbe parlato di qualche altra relazione, questa si probabilmente reale, con donne sposate del luogo di cui non si è saputo più nulla. Vero o falso? Telefonini e messaggi, però, hanno tenuto banco sia durante le indagini che nei tre gradi di giudizio:

Mirko Alessandrini durante un’intervista

Sono stati valorizzati soprattutto i contatti telefonici che ci sono stati nei primi 4 mesi del 2016 fra padre Graziano e Guerrina – conclude Riziero Angeletti –  asserendo che fossero circa 4.500. Ma nessuno ha voluto verificare per bene che quei 4.500 contatti telefonici, che in realtà erano la decima parte perché, come accertato dai consulenti, in loco non era possibile prendere la linea al primo tentativo dunque per mettersi in contatto con il proprio interlocutore occorrevano cinque, sei, sette e più tentativi per collegarsi definitivamente. Dunque le interlocuzioni che risultavano dai tabulati erano fittizie non reali.. In buona sostanza si sono contati i tentativi come interlocuzioni reali…Ecco spiegato l’enorme numero dei colloqui…Il numero di effettive interlocuzioni rientrava nella normalità delle telefonate… L’accusa poi ha puntato il dito sulle prostitute frequentate da padre Graziano ma che cosa c’entra questo particolare con la sua reale capacità omicidiaria? Insomma non sarà stato bello per lui e per l’abito che indossa ma certo non si può dire che tali frequentazioni facciano di lui un assassino… A tal proposito ricordo lo stratagemma a cui ricorsi, durante l’iter processuale, finalizzato a smascherare qualche “signorina” che riferiva di avere avuto rapporti intimi con don Graziano. Dissi che il frate congolese aveva un tatuaggio nelle zone intime e alcune di loro lo descrissero inventandosi di sana pianta il disegno di un’aquila o di altra figura. Il sacerdote, infatti, non aveva alcun tatuaggio e diverse di quelle donne caddero nel tranello dimostrando di aver raccontato solo fandonie… Invece se ci si fosse focalizzati su altri aspetti reali dell’omicidio probabilmente si sarebbe giunti a risultati migliori… Non ci si dovrebbe arrendere e cercare la verità storica, senza accontentarsi della verità processuale che è sempre perfettibile…Padre Graziano ha diritto ad una giustizia ma occorrono approfondimenti seri…Guerrina non era l’unica donna che frequentava casa Alabi e questo emergerebbe dai dati processuali, rimasti a livello embrionale… Questo a dimostrazione che quella è una comunità che non tollera cambiamenti e che non ammette che quel luogo possa degenerare…”.

Certo è che padre Gratian Alabi non ha detto tutto ciò che sa. Anzi potrebbe rivelare chissà quale segreto una volta che non indosserà più l’abito talare atteso che dal 2020 è in corso l’iter della Santa Sede che porterà allo stato laicale l’ex frate della congregazione dei Premostratensi di cui non fa più parte.

Per quanto riguarda il risarcimento del danno patito da marito, figlio e parenti della presunta vittima lo scorso 5 agosto il tribunale di Arezzo, presieduto da Fabrizio Pieschi, ha stabilito che alla Chiesa non spetta alcun esborso economico. Cosi come nulla debbono agli aventi diritto i padri Premostratensi di Roma, poiché “l’omicidio non è stato né agevolato né reso possibile dalle funzioni pastorali del prete…Alabi non ha agito sfruttando la propria posizione, né vi è prova che abbia tratto vantaggio dalla propria funzione religiosa nell’attuazione del proposito criminoso”.

I frati Premostratensi hanno espulso Gratien Alabi che sconta la pena a Rebibbia

Dunque spetta esclusivamente al detenuto Alabi l’esborso di 220 mila euro per il vedovo Mirko Alessandrini e 350 mila euro per il figlio della parrocchiana probabilmente uccisa e finita chissà dove, oltre alle spese legali, 30 mila euro, per un totale di 600 mila. La sentenza, appellabile, pare non abbia soddisfatto del tutto i legali del vedovo che, probabilmente, ricorreranno in avverso. A breve dovrebbe giungere anche la sentenza di un altro procedimento civile intentato dalle sorelle Piscaglia nel medesimo tribunale aretino.

Intanto per lo Stato italiano Guerrina è ancora viva. Il corpo della vittima, infatti, non è stato mai ritrovato e dunque tutte le questioni amministrative non sono affatto chiuse. Per la burocrazia, cosi come per l’anagrafe, occorre il certificato di morte della vittima, l’unico documento che ne può ufficializzare il decesso. Cosi rimanendo le cose i familiari non possono accedere al suo conto corrente e men che meno a qualsiasi altro titolo o bene intestato al presunto de cuius, è il caso di dire. La vicenda, nel bene o nel male, non è finita.

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