Senza ferie né riposi, spesso in nero e senza riconoscimento legale: il lavoro di cura grava sulle donne e sui giovani. Le proposte per un reddito di cura e una riforma strutturale.
Il lavoro di cura della famiglia e di assistenza, storicamente, ha sempre gravato sulle spalle delle donne. Un lavoro duro, svolto in silenzio, come atto dovuto e poco considerato dalle istituzioni. Nella cultura contadina era molto forte il senso di comunità, la famiglia era allargata, per cui c’era una forte solidarietà e il carico di lavoro veniva distribuito tra vari componenti.
La società moderna, al contrario, ha prodotto una consistente parcellizzazione dei legami familiari, quindi il carico di lavoro è sulle spalle di una sola persona, la donna. E’ stato stimato in circa 7 milioni il numero di persone che svolgono questo lavoro, 365 giorni all’anno, senza ferie, né riposi settimanali. Spesso il lavoro è in nero, non compare nelle statistiche e neppure come spesa dello Stato. Chi si dedica a questa attività è definito col termine inglese “caregiver”, perché è diventato uso comune utilizzare la lingua della “perfida Albione”.

Il sistema sociosanitario relativo all’assistenza degli anziani non autosufficienti crollerebbe senza il loro apporto, ma essendo sommerso sono degli “invisibili”. Inoltre, se l’assistenza è continua e senza alcun supporto pur in presenza di un affetto familiare, allora si è di fronte ad un lavoro gratuito vero e proprio. Chi ha avuto la sventura di assistere un proprio caro si è visto catapultato in un mondo senza alcuna preparazione di base. Eppure somministra farmaci, sposta dei corpi, accompagna il paziente alle visite di controllo e altro ancora. Nei fatti sostituisce un operatore socio-sanitario, ma essendo un “fantasma” non viene ritenuto un lavoratore.

La cronaca è ricca di casi di lavoratrici che, di fronte ad una problematica di questo genere, sono costrette a dimettersi dal lavoro pur di dare assistenza al proprio caro. Le associazioni di volontariato che operano nel settore ritengono che il problema principale è l’assenza di sussidi economici e psicologici, oltre che del riconoscimento legale. E’ un fenomeno che investe anche i giovani. Infatti sono circa il 7% quelli compresi tra i 14 e 25 anni, che improvvisamente si devono sobbarcare un carico di lavoro pesante. Ma si trovano di fronte ad una situazione senza vie d’uscita, con nessuna opzione di scelta.
A livello normativo è stato approvato un fondo di 30 milioni che è stato distribuito tra le Regioni, a “macchia di leopardo” senza una visione nazionale del fenomeno. Ad esempio in Germania il lavoro di assistenza equivale ad avere contributi figurativi, mentre la Francia ha contemplato congedi retribuiti per l’assistenza. Il Belpaese, invece, finora ha proceduto alla rinfusa, erogando bonus a caso, senza un inquadramento normativo complessivo. L’invecchiamento della popolazione non farà che esacerbare un fenomeno, di per sé, già complicato. Uno Stato attento al benessere dei propri cittadini, dovrebbe proporre il reddito di cura, protezione previdenziale, assistenza sul territorio, formazione per i caregiver casuali.
Il 70% di chi in famiglia cura persone non autosufficienti sono donne, secondo gli ultimi dati Istat. C’è da intervenire subito, senza esitazione, anche perché in questo ambito non c’è Intelligenza Artificiale (IA) che tenga. Infatti, non si potranno sostituire il rapporto umano, la comunicazione delle emozioni, saper affrontare le malattie neurovegetative perché sono unici e irripetibili!