Francesco Vitale morì precipitando nel tentativo di fuga. Fabrizio Daniele, Sergio Placidi e Ilaria Valentinetti dovranno scontare complessivamente quasi 50 anni di carcere.
Roma – Si è concluso con tre condanne il processo per la morte di Francesco Vitale, dj barese di 35 anni conosciuto come “Ciccio Barbuto”, precipitato da una finestra della Magliana mentre tentava di sfuggire ai suoi sequestratori. I giudici hanno inflitto 16 anni di carcere a Fabrizio Daniele, 20 anni a Sergio Placidi (noto come “Sergione”) e 13 anni e 4 mesi a Ilaria Valentinetti.
Il sequestro per un credito di mezzo milione
Tutto era iniziato per un credito di circa 500mila euro che, secondo i pubblici ministeri Francesco Cascini e Francesco Minisci, il dj doveva nell’ambito di un affare legato al boss albanese Elvis Demce. I tre avevano attirato Vitale in un appartamento di via Pescaglia, alla Magliana, con l’intenzione di ottenere il riscatto dalla famiglia.
Ma Daniele e Placidi si sono rivelati dei “dilettanti”. Dopo aver sequestrato la vittima e contattato i familiari per il riscatto, hanno commesso l’errore fatale: Sergione, preso dalla fame, si è allontanato dal “covo” per andare a mangiare un panino nelle vicinanze.
La fuga disperata e la morte
Quel momento di distrazione è costato la vita al dj barese. Vitale, vedendo l’opportunità, ha tentato la fuga attraverso una piccola finestra dell’appartamento. Nel disperato tentativo di scappare, però, è precipitato al suolo morendo sul colpo. L’ultima telefonata alla moglie era stata un addio: “Amore è finita”, aveva detto alla donna.
Inutili si sono rivelati i tentativi dei sequestratori di cancellare le tracce, eliminando i documenti della vittima e ripulendo l’appartamento. I carabinieri del Nucleo Investigativo hanno ricostruito ogni dettaglio della vicenda, portando prima all’arresto di Fabrizio Daniele, poi di Sergio Placidi, rintracciato nel suo nascondiglio alle porte di Roma.
Il ruolo della “carceriera”
Decisiva per incastrare anche Ilaria Valentinetti – ex candidata al parlamentino del IV Municipio nel 2008 – sono state le intercettazioni telefoniche. La donna, compagna di uno dei sequestratori, si lamentava amaramente per il mancato pagamento del “lavoro”: “Il silenzio a casa mia si paga”, diceva, arrabbiata perché il suo uomo era stato arrestato senza essere retribuito dai mandanti. “Dalle parti mia se deve mantene’ il detenuto, la famiglia… manco hanno nemmeno pagato il reato… il lavoro svolto”, erano le sue parole.
Proprio queste intercettazioni hanno permesso agli investigatori di scoprire che anche lei aveva partecipato attivamente al sequestro, sostituendo per alcune ore il compagno nel ruolo di carceriera. Un coinvolgimento che ora le è costato una condanna a oltre 13 anni di reclusione.
La tragedia della Magliana si chiude così con quasi cinquant’anni di carcere complessivi per i tre protagonisti di un sequestro dilettantesco finito nel peggiore dei modi.