L’omicidio di Antonella Di Veroli, commercialista di 47 anni trovata morta asfissiata in casa il 12 aprile 1994, è uno dei grandi misteri romani. Prevista l’analisi dei reperti in base alle nuove tecnologie forensi.
Roma – La Procura di Roma ha ufficialmente riaperto l’inchiesta sull’omicidio irrisolto di Antonella Di Veroli, la commercialista di 47 anni trovata morta il 12 aprile 1994 nel suo appartamento di via Domenico Oliva 8, nel quartiere Talenti. La svolta arriva a 31 anni dal delitto grazie alla tenacia della sorella Carla Di Veroli e all’istanza presentata dall’avvocato Giulio Vasaturo. Le indagini, affidate alla pm Valentina Bifulco e delegate ai carabinieri, si concentrano su nuovi esami di reperti e una “terza pista” mai adeguatamente esplorata.
Il delitto e i reperti
Antonella Di Veroli fu uccisa nella notte tra il 10 e l’11 aprile 1994. Il suo corpo, rinvenuto due giorni dopo da familiari, un’amica e l’ex socio Umberto Nardinocchi, era nascosto in un armadio sigillato con mastice, in posizione fetale, con un sacchetto di plastica annodato al collo. L’autopsia stabilì che la morte avvenne per asfissia meccanica, causata dal sacchetto, mentre due colpi di pistola calibro 6.35, sparati attraverso un cuscino, l’avevano solo stordita. Sul letto furono trovati lenzuola e coprimaterasso insanguinati, un cuscino forato e una custodia di uno Swatch, mentre sul pavimento c’era un solo bossolo, mai analizzato scientificamente all’epoca. Un’impronta papillare sull’anta dell’armadio e formazioni pilifere non attribuite né alla vittima né agli indagati sono tra gli elementi ora al vaglio, insieme a frammenti di ferro trovati nel cuscino, che suggeriscono un’arma datata e arrugginita.
Le nuove tecnologie forensi, come l’analisi del Dna e il confronto delle impronte con il sistema AFIS (introdotto nel 2000), potrebbero rivelare il profilo genetico o l’identità dell’assassino. Un’altra pista riguarda una telefonata partita dall’appartamento intorno all’1.30 dell’11 aprile verso un radiotaxi, mai approfondita: rintracciare il tassista potrebbe chiarire se l’assassino abbia lasciato la scena con un taxi.

Le indagini iniziali e gli errori
Le indagini del 1994 si concentrarono su due ex amanti di Antonella: Umberto Nardinocchi, prosciolto grazie a un alibi solido, e Vittorio Biffani, fotografo 51enne che aveva ricevuto un prestito di 42 milioni di lire dalla vittima. Biffani, processato insieme alla moglie per tentata estorsione, fu assolto nel 1997 (sentenza confermata in Cassazione nel 2003) dopo che un errore clamoroso emerse: il test del guanto di paraffina, che indicava tracce di polvere da sparo, era stato confuso con quello di un’altra persona. Inoltre, un’impronta sull’armadio apparteneva a un terzo soggetto mai identificato, rafforzando l’ipotesi di un assassino esterno. Errori investigativi, come la perdita del pianale dell’armadio con un’impronta di scarpa e la mancata analisi del bossolo, compromisero l’inchiesta. La gestione approssimativa della scena del crimine e la sparizione di reperti alimentarono sospetti di depistaggi.
La “terza pista” e il testimone chiave
La riapertura dell’inchiesta si focalizza sulla possibilità di un terzo soggetto, uomo o donna, potenzialmente legato all’ambiente lavorativo di Antonella, come suggerito dalla sorella, che ha sempre dubitato della pista passionale. Un testimone, Sergio Bottaro, vicino di casa, riferì di aver visto la sera del delitto un uomo robusto, sui 50 anni, con baffi, che fumava nervosamente tenendo una busta di plastica, simile a quella usata per soffocare la vittima. Bottaro, intervistato dal Corriere, raccontò di aver subito minacce e pedinamenti dopo la sua testimonianza, rafforzando l’ipotesi che avesse visto l’assassino. La pm Bifulco sta valutando di riascoltare Bottaro e altri vicini, oltre a riesaminare le formazioni pilifere (capelli e peli) trovate sul letto, non appartenenti né a Biffani né a Nardinocchi.

Le speranze della famiglia
Carla Di Veroli, 73 anni, ha espresso cautela ma fiducia: “Posso solo essere grata e avere fiducia nel lavoro investigativo”. La nipote Alessandra Desoindre, che all’epoca aveva 15 anni, ha ricordato Antonella come una donna affettuosa, ingiustamente dipinta dai media come frivola. La famiglia, supportata da Vasaturo, punta sulle moderne tecniche forensi per identificare il colpevole, convinta che Antonella conoscesse l’assassino, avendo aperto la porta senza segni di effrazione.
Un cold case che torna alla ribalta
Il “delitto dell’armadio”, come è noto, è uno dei grandi misteri romani, paragonabile al caso di via Poma. La possibilità che il bossolo, l’impronta sull’armadio e il Dna sui reperti possano essere analizzati con strumenti attuali alimenta le speranze di giustizia. Resta aperta l’ipotesi di un delitto legato a questioni professionali o personali non chiarite, come il riferimento a un “cane sciolto” nel diario di Antonella o i regali con l’iniziale “E” acquistati per San Valentino. La Procura di Roma, con il supporto del Nucleo Investigativo, sta lavorando per colmare le lacune di un’inchiesta segnata da errori e omissioni. Il caso Di Veroli, dopo 31 anni, potrebbe finalmente trovare una risposta, dando pace a una famiglia che non ha mai smesso di cercare la verità.